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Drifting in your shady memories…
Where to go when sorrow breeds?
Let the fear run through,
breath in black and stifling air.
All those words they disappear…
No need to rest… It’s too early to die!
Fucina di artisti di qualità di livello superiore, benché troppo poco reclamizzati dal mainstream (e, verrebbe da dire, a ragion veduta forse questa è stata sempre una benedizione), la terra dei mille laghi è ancora una volta la destinazione finale dei viaggi di ROCK’N’SAFE. Helsinki, capitale dell’Uusimaa (“terra nuova”), è inoltre la città natale di una band eclettica, solida nella sua intermodale essenza, capace di ricostruirsi, rivoluzionarsi, cambiare pelle, protagonista di una continua evoluzione in crescendo. Partiti dal death metal tipicamente scandinavo, mai pettinato come quello svedese di Göteborg della fine anni ‘90, ma nemmeno primordialmente rude come quello norvegese di Bergen di fine anni ’80 (che sfocerà in tutt’altro), gli Amorphis vestono la loro “muta” definitiva al tramonto del secolo scorso col capolavoro “Tuonela”, datato 1999. La pink-floydiana svolta folk/progressive gothic rock/metal (definizione volutamente pacchiana, altamente restrittiva, tuttavia calzante) viene confermata nel successivo capitolo, quel “Am Universum” (2001) tanto decadente quanto trascinante, onirico e romanzesco, tristemente ed enigmaticamente umano.
Figlio degli anni ’70 tanto quanto il suo già citato predecessore, trattasi di un album da ascoltare tutto d’un fiato, soprattutto nelle serate cupe, solitarie, laddove le speranze di un domani migliore di oggi vengono soffocate da meste ed ermetiche nubi (“stifling air”). Non ce ne voglia chi, nel momento in cui pubblichiamo questo articolo, sta sovrabbondantemente stappando altro prosecco per festeggiare la pluriacclamata impresa della nostra nazionale calcistica, ma non possiamo ignorare e dimenticare ciò che realmente accade nel quotidiano di ognuno di noi. “Drifting memories”, con il suo lancinante ritornello, nient’altro fa che riportarci drammaticamente sul pianeta oblio, in un susseguirsi di vocalizzi leggeri prima, e languidi poi; magistrale del resto è l’interpretazione del pezzo da parte del singer Pasi Koskinen, con tutta probabilità vero valore aggiunto della band insieme all’axeman Esa Holopainen. Oblio però implicitamente combattuto, razionalizzato, descritto con feroce autocritica, interiorizzato ed infine esternato in un brano dal sapore malinconico, da chi ha capito come reagire, nonostante il dolore abbia avuto il sopravvento troppe volte (“now it’s your fate, face your heart ache, – although – you wish to make it unreal”).
Il dolore è parte integrante di ciò che poche righe fa abbiamo definito come ‘il quotidiano’, e nulla può sradicarlo dalle nostre esistenze. Farlo nostro, è una scelta. Affrontarlo, risulta inumano, quando valica taluni confini. Accettarlo, può diventare la nostra grande forza interiore. Oltrepassarlo, rappresenta infine la più esaltante delle vittorie. “Where to go when sorrow breeds – let the fear run through”. Lasciamo che la paura scorra attraverso le nostre vene. È nella natura umana, fa parte della nostra essenza. Anche quando appare iniqua e crudele, la realtà offre sempre la possibilità di rialzarci, di ottenere ciò che desideriamo nonostante infinite difficoltà, anche quando ci sembra di aver perso tutto. Resta pur sempre compito nostro circoscrivere quel tutto, dargli più o meno spazio ed importanza, ridefinirlo, assegnargli il giusto valore nell’economia di un’intera vita. Talvolta tutto sembra crollare, ma in realtà quel tutto si sta solo …aggiustando.
Prendendo in prestito il pensiero di Oscar Wilde: “la vita è tremendamente deficiente nella forma. Le sue catastrofi avvengono nel modo sbagliato e alle persone sbagliate. V’è un orrore grottesco nelle sue commedie, e le sue tragedie sembrano culminare nella farsa. Si è sempre feriti quando ci avviciniamo alla vita. Le cose durano troppo, o troppo poco”.
E allora, chi di voi aspiri all’essere leader, chi desideri sfidare la difficoltà di avvicinarsi alla vita, con forza d’animo accetti anche le sue ingiustizie, le sue mancanze. Con caparbietà, capacità, con arguzia, perseveranza. Ma innanzitutto, con la tenacia di sopportare il fardello delle decisioni difficili. Quelle che vanno prese ogni singolo giorno, anche quando appaiono dolorose, anche quando saranno sicuramente dolorose, anche quando non siamo certi della loro correttezza e men che meno scorgiamo garanzia di buon esito. E se qualcosa andrà storto, ci sarà sempre qualche finlandese a ricordarci che non sempre tutto va per il verso giusto. Ma anche che non sempre si tratta di ingiustizia. Che non sempre vige la malafede. Che molto spesso, dietro a ciò che viene definito male si cela semplicemente un futuro migliore, e la possibilità di analizzare il passato con parziale, ricostruita serenità. Abbiamo quindi la forza di prendere decisioni, anche quando la responsabilità pesa, anche quando le conseguenze potrebbero essere devastanti, anche quando quel tutto appare ostile. Chi saprà accettare questo, certamente non avrà problemi nell’essere un leader (anche) della safety.
“Stand up”, cantano gli stessi Amorphis in un verso di “Alone” (seppur in differente contesto), brano d’apertura di Am Universum. Lo stesso stand up tanto caro ad un loro conterraneo già apparso su queste pagine, cui dedichiamo la citazione di chiosa.
Lo stesso stand up che dedichiamo a tutti.
“We’ll fight ‘til the last hit, […]
We stand and we won’t fall!”
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