Un mitico energumeno

di Francesco La Rosa
eracle

A parziale discolpa di Eracle possiamo dire che ebbe una nascita a dir poco travagliata. Anzi, che dico la nascita, finanche il concepimento.

La mamma di Eracle si chiamava Alcmena, era figlia di Euridice (sì, proprio la “sposa cadavere” di Orfeo), e moglie di un brav’uomo ed ottimo soldato, di nome Anfitrione.

Ora, il fatto è che Alcmena doveva essere davvero una gran bella donna, ma proprio bella bella, talmente bella da destare le speciali attenzioni di Zeus. Lo so, obietterete che non ci voleva molto a destare le attenzioni di Zeus, che a certe cose era attentissimo e non se ne faceva scappare mezza, ma apposta io ho parlato di attenzioni “speciali”. Probabilmente stufo di travestirsi da cigno, toro, pioggia dorata o chissà che altro per rimorchiare, padre Zeus decise che per una volta voleva fare l’amore proprio come un uomo. E, per evitare spiacevoli discussioni e fastidiose lungaggini prima di arrivare al sodo, attese pazientemente che Anfitrione partisse per una guerra (a quei tempi non si doveva mai aspettare molto), e semplicemente ne prese le sembianze.

Ora, immagino che Alcmena si possa essere sorpresa nel vedersi presentare dinanzi il marito lindo e profumato di ritorno da una guerra-lampo. Come che sia, decise che non era il caso di discutere, con Anfitrione-Zeus che la sospingeva verso il talamo, intanto che cercava di togliersi l’armatura.

Che Alcmena dovesse essere assai bella l’abbiamo già detto, ma a questo punto della storia occorre darle atto anche di una certa prestanza fisica. Zeus, infatti, quella volta aveva deciso di fare le cose in grande, e sapendo di poter disporre di energie sovrumane, aveva chiamato il fido Ermes (fido per lui, assai meno per gli altri) e gli aveva ordinato di fermare il Tempo, nientemeno. Sì, fermare il tempo, arrestare il moto delle sfere celesti, dire al Sole di non muoversi dalle scuderie fino a nuovo ordine, avvisare Eos l’alba di nascondere il vestito rosa bello, e alla Luna di tenere la posizione di tre quarti, così romantica da vedere attraverso la finestra della camera di Alcmena. Insomma, innamorato come un ragazzino e con lo stesso ardore, Zeus impegnò la ragazza in una cavalcata di tre giorni e tre notti, settantadue ore e scusate se è poco.

Ma non era finita lì.

Infatti, saziato l’insaziabile amante, Alcmena ha giusto il tempo di rassettarsi un po’ e darsi una pettinata, che sente bussare alla porta, apre e si trova davanti il marito reduce dalla guerra e desideroso quanto mai di dolci baci e languide carezze. Ora, io non posso credere che Alcmena non abbia avuto almeno un attimo di smarrimento. Ancora qui, e come se niente fosse stato? Di sicuro deve aver pensato che qualcosa in questa storia non quadrava. Reagì comunque da donna di classe, sorrise al marito che rientrava e si rimise di buona lena a fare quello che aveva appena smesso di fare. E qui viene il dubbio che Alcmena, oltre che bella e atletica, potesse pure essere insaziabile quasi quanto padre Zeus. Ma sorvoliamo…

Il risultato comunque fu che quella notte (ma sarebbe più appropriato dire quella settimana, o quasi), Alcmena rimase doppiamente incinta, mettendo al mondo nove mesi dopo due gemelli diversi, figli di padri diversi, una prestazione da Guinness. Uno dei pargoli si chiamava Ificle ed era figlio di Anfitrione, l’altro, il figlio di Zeus, era per l’appunto Eracle.

Naturalmente, una scappatella di tre giorni e tre notti è difficile che passi inosservata, e fu così che il piccolo Eracle fu subito preso di mira dalla solita Era, legittima e (comprensibilmente) incazzatissima consorte di Zeus. La quale Era tanto per cominciare ficcò due enormi serpenti nella culla del piccolo Eracle. Qualcuno per la verità insinua che la trovata fosse di Anfitrione, che aveva non si sa come scoperto l’intrigo e non l’aveva presa bene. Altri ancora invece raccontano che Anfitrione, venuto a conoscenza di tutto, si fosse detto onorato che il padre degli dèi avesse voluto prendere le sue sembianze per omaggiare la sua sposa, e renderlo addirittura patrigno di un semidio. A me onestamente pare che un simile aplomb superi finanche le capacità di un Lord inglese dell’Ottocento, altro che eroe della Grecia arcaica. Comunque, riferisco.

Come che sia, Eracle impugnò i serpenti con le sue manine paffutelle, li strangolò e li scaraventò fuori dalla culla, chiarendo così da subito il tipo di rapporto che intendeva intrattenere con il mondo.

Anfitrione cercò di fare buon viso a cattivo gioco, e si mise d’ impegno per tirare su quel ragazzone dandogli almeno una sgrossata. Lo mandò a scuola di musica da Lino, il fratello di Orfeo, perché imparasse a suonare, ma le manone di Eracle non si prestavano a trarre melodie dalle corde della cetra, e di fronte ai rimproveri del maestro Eracle finì col reagire a modo suo. Gli spaccò la cetra in testa, uccidendolo.

Anfitrione non si diede per vinto, ed insistette nel disperato tentativo di dare al giovane una qualche forma di educazione; decise però anche di aumentare la distanza di sicurezza tra Eracle e le suppellettili della casa reale mandandolo in campagna a fare il mandriano. Qui, all’ età di 18 anni, Eracle ebbe modo di manifestare i suoi talenti andando a caccia di un leone che depredava le mandrie. Dopo 50 giorni, lo scovò e l’uccise strangolandolo a mani nude, dopo di che lo scuoiò ed utilizzò l’intera pelle per coprirsi, aggiustandosi la testa del leone sul capo come se fosse un elmo. I cinquanta giorni non furono però interamente inoperosi. Eracle era infatti ospite del re Tespi, il quale aveva giusto cinquanta figlie dalle quali in nostro eroe trasse conforto, una per notte. E che scovasse il leone giusto alla scadenza dell’ultima fanciulla, io la trovo una coincidenza un po’ sospetta.

Che Eracle avesse modi sbrigativi col prossimo, era dunque cosa risaputa. Dovete sapere che, per motivi che non sto a rivangare, Tebe era tenuta a versare annualmente un tributo di cento vacche ad una città di nome Ergino. Bene, Eracle accoglie i messi venuti a ritirare il tributo, li aggredisce a freddo, taglia loro nasi ed orecchie, gli lega le mani al collo e li rimanda indietro col consiglio di non farlo ulteriormente arrabbiare. Mi spiego?

Le dodici fatiche sono troppo note e troppo lunghe da raccontare qui. Citiamo solo un dettaglio.

Eracle si sta dirigendo verso l’isola dove regna Gerione, al quale deve sottrarre la mandria di vacche (in fondo, mandriano era, Ercole, no?). Ad un certo punto si rende conto che il Sole è troppo caldo, fastidiosamente caldo, e dopo averlo guardato male, prende arco e freccia e mira, minacciando di trafiggerlo se non la smette. Stranamente, in quella occasione il Sole, cioè Apollo, discreto arciere anche lui, la prende bene, ci fa una risata e regala ad Eracle una coppa d’ oro. Inutile aggiungere che l’abigeato riuscì alla perfezione, nonostante la resistenza del mandriano e del suo cane, che vengono abbattuti a colpi di clava…

Era un tipo così, Eracle, supereroe immaturo, tutto istinto e niente ragionamento, il prototipo della rockstar maledetta, distruttiva e autodistruttiva, gli esempi certo non mancano. “It’s better to burn out than to fade away”, meglio bruciare che svanire, canterà Neil Young qualche millennio dopo. E brucerà Eracle, brucerà davvero, divorato da una camicia maledetta, regalo stregato della moglie gelosa e ingannata.

Facile da condannare, certo, ma in fondo in fondo un moto di simpatia non possiamo non provarlo: per quanto brutale e istintivo, Eracle ci colpisce per la sua grezza autenticità.

E dunque, nel raccomandare sempre prudenza e riflessione, dobbiamo al tempo stesso cercare di non sacrificare del tutto il nostro lato più istintivo e spontaneo.

La safety rockstar è così: usa la testa per controllare l’istinto, non per soffocarlo.

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