Nell’economia della conoscenza fare rete è il primo passo per gestire il cambiamento
Le piccole e medie imprese sono il tessuto portante dell’economia italiana, e mai come in questo periodo sono chiamate ad affrontare sfide globali che le coinvolgono (e stravolgono) a tutti i livelli, strategici e organizzativi. Sono sfide radicali che, se affrontate in solitudine, rischiano di sfiancare le organizzazioni più fragili e statiche. Una delle leve più importanti per affrontare queste sfide consiste nell’accrescere la conoscenza delle informazioni che guidano i processi di cambiamento repentini e urgenti. L’obiettivo è creare e mantenere valore aziendale e territoriale affrontando il cambiamento dalla corretta prospettiva.
Ma per accrescere la conoscenza è necessario, soprattutto per le PMI, fare rete con altre realtà ugualmente impegnate nella gestione di questi cambiamenti culturali.
Ecco perché oggi ho intervistato Giorgio Ferrandino, Direttore Generale di SEW Eurodrive Italia. Giorgio è l’ideatore e il promotore dell’interessante Laboratorio rivolto alle PMI italiane: l’Industrial Innovation Lab.
Giorgio, prima di chiederti come ti è venuto in mente di fondare l’IIL (Industrial Innovation Lab), spiegami esattamente cos’è.
L’IIL è un laboratorio culturale che ha l’obiettivo di creare un ecosistema imprenditoriale sostenibile, rispettoso dell’ambiente e delle persone, per l’evoluzione dell’industria manifatturiera in Italia, soprattutto quella piccola e media.
Attraverso progetti sperimentali, di innovazione tecnologica e di evoluzione dei modelli di leadership e organizzativi, questo laboratorio vuole contribuire all’evoluzione delle piccole e medie imprese.
Sembra facile detto così, no?
È evidente che non lo è…Iniziamo col dire come ti è venuta questa idea.
Sai, sono un sociologo, esperto di organizzazione del lavoro. E mi interrogo continuamente sull’importanza di creare una cultura d’impresa che ragioni a medio e a lungo termine: la conoscenza e la sua condivisione, non c’è dubbio, permettono di governare meglio le organizzazioni, senza rimanere con il fiato corto, come accade troppo spesso all’interno delle PMI. In un contesto come il laboratorio le imprese sono sollecitate a guardare verso l’orizzonte, uscendo da una visione troppo corta ed emergenziale, aprendo spazi ad attività che richiedono tempi più lunghi, come l’innovazione e la sostenibilità, e che, al contempo, garantiscono l’attraversamento di cambiamenti radicali senza esserne sovrastati.
Possiamo dirlo così: avevo in mente di promuovere un movimento di cambiamento culturale, attraverso la creazione di un laboratorio di sperimentazione capace di contribuire alla trasformazione delle piccole e medie imprese, presenti sul territorio italiano, in organizzazioni agili, innovative e sostenibili.
Tutto questo perché, come evidenziato anche nello stesso sito della LUM, partner del laboratorio, oggi nessuno può illudersi che basti fare cose vecchie in modo nuovo, oppure cose nuove in modo vecchio. Oggi le persone devono avere la motivazione e le capacità di portare le loro organizzazioni a fare cose nuove in modo nuovo.
Serve mettersi costantemente in gioco, tutti. Da parte mia, oltre alla ideazione e creazione dell’IIL, mi sforzo per rivedere il mio modello di leadership, provando anche nella mia azienda a far star bene le persone che ruotano intorno a me professionalmente, a livello organizzativo, facendo rete ed ecosistema e condividendo conoscenze e valori.
Come si sta evolvendo questo Laboratorio? Come agite?
Va detto, intanto, che ho fondato l’IIL con la School of Management dell’Università LUM, la più importante e affermata istituzione per la formazione post-laurea del Sud Italia. La mission della LUM è allineata all’idea sottostante al laboratorio, quella di promuovere la cultura manageriale e della responsabilità aziendale per favorire lo sviluppo sostenibile dei territori e delle comunità.
Il coinvolgimento dei membri associati è il cuore del laboratorio per una logica di reciprocità generativa: si usufruisce delle competenze ed esperienze dei propri membri per avviare progetti sperimentali e di ricerca e innovare i modelli di business e quelli organizzativi, introdurre nuove tecnologie e far evolvere la cultura della propria organizzazione. Alcuni membri del laboratorio fanno già del loro agire economico una questione di sviluppo sociale e/o ambientale (nel senso di eliminazione dei viluppi, dei lacci): c’è chi realizza prodotti umanoidi cognitivi per i disabili, chi fa vertical farm, incrociando l’agricoltura e la tecnologia, chi digital education, chi consulenza appoggiandosi ai dettami dell’economia civile, ed altro ancora. Tutti accomunati dal darsi obiettivi aziendali ispirati e non solo legati al profitto.
Organizziamo convegni su temi specifici, attiviamo progetti sperimentali, anche di leadership, condividiamo best practice e learning story, elaboriamo white paper, effettuiamo ricerche e approfondimenti i cui risultati sono scaricabili gratuitamente. A breve introdurremo un Community Manager che stimolerà ancor di più il laboratorio, con nuove idee e nuove proposte.
Ciò che conta è continuare ad alimentare le conoscenze necessarie affinché le PMI possano evolvere verso i paradigmi dell’Industria 4.0. Non solo dal punto di vista tecnologico, di processi e di modelli di business, ma anche per il miglioramento del benessere delle persone coinvolte nelle organizzazioni, dai dipendenti a tutti gli altri interlocutori strategici. Nelle PMI le persone che ruotano nelle e intorno alle organizzazioni sono tutto ciò che crea il senso delle stesse, è fondamentale essere innovativi rispetto al capitale umano e relazionale: i beni intangibili la fanno e la faranno sempre più da padrona.
Giorgio, questa intervista esce su Rock’n’safe, dove parliamo di aziende ma col ritmo della musica, possibilmente rock. Quale canzone assoceresti a questo laboratorio? E perché?
«Just a perfect day» di Lou Reed. Quella canzone mi fa sempre pensare a quanto sia bella la vita semplice e vera, quella a contatto con la realtà. Temo, infatti, che abbiamo perso e stiamo continuando a perdere il contatto con le cose semplici e vere. In generale, il tema è questo: ci stiamo scollegando dalla realtà, allontanandoci dalla natura e dal nostro essere più profondo (pensa a quanto siamo virtuali sui social). Il giorno perfetto è quello in cui sei connesso con le cose semplici della vita, non quello in cui metterai un piede su Marte. Non per niente viviamo in un periodo di enormi paradossi, penso in particolare alle disuguaglianze sociali ed economiche tra le persone. Vito Mancuso ci ricorda che viviamo in un momento storico in cui la dimensione individuale ed egoica è talmente prioritaria che abbiamo perso il concetto di ciò che è opportuno fare a livello collettivo: prima di tutto ci sono gli interessi individuali e, senza i riferimenti religiosi di un tempo, senza i valori della società civile, senza i riferimenti delle famiglie, oggi non si sa più quali set di comportamenti seguire. Ne consegue un caos sociale in cui ognuno opportunisticamente segue i propri interessi individuali. Ecco, una canzone come quella di Lou Reed ci riporta all’essenziale.
Tornando all’ILL, serve urgentemente recuperare una certa sobrietà ed etica negli affari. Non però come adeguamento alle normative, ad esempio, alla 231 o rispetto alle norme in tema di trasparenza, etc. Nel senso più genuino del termine: etica significa speculare intorno ai comportamenti pratici di tutti noi, per distinguere il vero bene e comprendere quali siano i mezzi più adeguati a conseguirlo, quali siano i doveri morali verso sé stessi e verso gli altri. L’etica negli affari è qualcosa di estremamente concreto (mi viene rabbia quando sento alcuni imprenditori dire che «si tratta di aria fritta»), una canzone come Just a perfect day traslata alle giornate lavorative mi fa pensare al ritrovare la sobrietà e l’etica purtroppo perse da troppo tempo.
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