Quando scrissero “Take me home, country roads” nell’estate del 1970, sia Bill Danoff che sua moglie Mary “Taffy” Nivert forse non sapevano il successo che avrebbe ricevuto dal pubblico e che sarebbe diventato non solo un inno alla natura ma anche una fonte di forza per molte persone, quella forza che può portare a immaginare il ritorno a casa.
La coppia sta percorrendo in macchina la Clopper Road, vicino a Washington nel Maryland, per andare ad una riunione di famiglia e Bill improvvisa una ballata. La parola “Maryland” non si adatta bene al testo, avendo bisogno di 4 sillabe, così in un primo momento la sostituisce con “Massachussets”. Una volta rientrati a casa i due compositori si mettono a lavorare sulla canzone, ma esiste già una canzone di successo dei Bee Gees con questo titolo. Il caso vuole che trovino delle cartoline ricevute da un caro amico che vive in West Virginia ed affascinati da quelle immagini la inseriscono nel testo.
Terminata la canzone vogliono proporla a Johnny Cash, ma una sera Bill e Mary si ritrovano ad aprire un concerto di John Denver, l’occasione li porta a mostrargli il testo ed intonarla. Il compianto cantante americano, dopo averla ascoltata, decide che deve cantarla lui.
Nasce così una delle ballate country più famose al mondo, che entusiasma sin dal suo debutto il pubblico.
In tutta questa storia nata casualmente e fatta di intrecci del destino, il particolare più interessante risiede nelle parole dette dallo stesso Danoff nel 2011, il quale ammise che nessuno dei tre artisti coinvolti fosse mai stato in West Virginia, pensando mentre scriveva e cantava il testo ad un posto lontano ed esotico. Il West Virginia poteva essere qualsiasi posto nel mondo, “poteva essere in Europa per quanto ne sapevo”.
Esistono lavori che spesso ti portano lontano, anche per parecchie settimane o mesi, da chi abbiamo di più caro. Spesso le valigie pesano non per gli abiti o gli effetti personali che mettiamo dentro, ma per tutti i pensieri che abbiamo mentre le prepariamo.
Esiste però un momento che ripaga dei sacrifici fatti e delle difficoltà vissute soprattutto in un periodo estremamente difficile come quello che stiamo vivendo.
Quel momento tanto immaginato quando si è lontani, il ritorno a casa.
La pace di quelle note, un testo che ti conduce di nuovo da dove sei partito, sono queste le sensazioni che ho sempre provato ascoltando questa canzone, riaprendo spesso nella mia memoria ricordi incancellabili.
Quando qualche giorno fa mentre giocavo con i miei figli ho riascoltato questo brano, ho pensato però a chi si trovava in ospedale, oppure in attesa di un tampone negativo per tornare alla propria vita, anche lavorativa, quella seconda casa dove si passa più tempo che con i propri cari.
Ho immaginato come potesse stare chi vive queste sensazioni, cosa volesse più di tutto.
Non posso certo avere la presunzione di poter rispondere, non avendo vissuto in questo ultimo anno fortunatamente nulla di tutto questo, ma mi sono tornate in mente le parole di un caro amico di infanzia incontrato a fine estate scorsa che invece tutto questo l’aveva vissuto, in maniera pesante avendo passato ad inizio pandemia quasi un mese in terapia intensiva, per colpa di quel virus che abbiamo imparato a conoscere, preso chissà dove anche perché al lavoro è stato l’unico caso positivo registrato.
Ora sta bene, la voglia di tornare a casa in primis, ma anche al suo lavoro, sono stati la sua forza perché lì si sentiva al sicuro.
La vita è sostanzialmente un filo sottile, che può spezzarsi, come la felicità.
Quando quel filo si spezza oltre la famiglia pronti ad abbracciarci ed aiutarci, possiamo trovare le persone con cui condividiamo la maggior parte delle ore della nostra giornata. Sono le persone con cui lavoriamo, pronte ad accoglierci al nostro ritorno, per questo diventa importante cucire un tessuto forte costruito attraverso i rapporti interpersonali.
Gli ambienti sani e sicuri si costruiscono così, diventano luoghi cui vogliamo tornare, immaginando di attraversare quelle strade di campagna ascoltando la voce del mai dimenticato John Denver.
Fonti storiedicanzoni.it articolo del 21 Giugno 2019
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