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Cammino su cavi di acciaio tesi nel cielo da 14 anni. Ho camminato tra due picchi montani a 160 metri dal suolo, ho percorso 250 metri di cielo tra il colle di Penna e quello di Billi, a 90 metri di altezza, ho visto il cielo di Torino, Firenze, Roma, Bangkok, Okayama, da alcuni punti di vista unici. In questi anni ho fatto migliaia di passi su una strada larga 14 mm, mi sono esposto.
Ogni volta il primo passo, quello con cui stacco il piede destro dal suolo, per avvicinarlo al sinistro già sul cavo, è il passo decisivo, in cui lascio indietro preoccupazioni e aspettative, e senza zavorre procedo lungo la mia strada.
In quel momento arriva la paura, e arriva ogni volta, puntuale, da 14 anni, tanto che ormai la aspetto e senza di lei non parto. Quello che faccio è pericoloso, e mi fa piacere aver qualcuno che mi dica di stare attento.
Percorrere la nostra strada, qualunque essa sia, è rischioso, ad ogni passo possiamo scivolare, cadere, sbattere, perdere qualcosa, ( anche trovare qualcosa, ma di questo parlerò in un altro articolo ) e la prima cosa per viaggiare sicuri è sapere che siamo a rischio.
Il rischio è una categoria dell’esistenza, in ogni momento, in ogni luogo siamo a rischio, dal momento in cui esitiamo corriamo il rischio di non esistere più.
Il funambolo si fa carico ( anche ) di questo aspetto dell’esistenza, uno dei lati che non ci piace, che vorremo cancellare e che per comodità spesso ignoriamo, illudendoci di essere al sicuro.
Tuttavia credere di essere invulnerabili è come viaggiare con un paraocchi, ossia non avere coscienza della situazione, del contesto, di ciò che ci circonda e che stiamo vivendo.
Viaggiando in questo modo l’inaspettato può sorprenderci, spiazzarci e arrecare danno.
Una delle trappole in cui è facile cadere è il pensiero di poter prevedere tutto e che seguendo tutte le buone pratiche per un lavoro sicuro annulliamo il rischio. Non possiamo prevedere ogni evenienza, e non possiamo controllare tutto, per questo è bene lavorare con il massimo della sicurezza e seguire scrupolosamente le procedure, e comunque non perdere la consapevolezza che il rischio è sempre lì con noi.
L’allenamento migliore e la migliore preparazione al rischio, per me, significa stare a contatto con esso, vivere con consapevolezza le situazioni critiche, per sapere mantenere il contatto con il contesto, senza sottovalutarlo , pensando che tanto abbiamo fatto tutto bene e quindi non ci sono rischi, e senza sopravvalutarlo, ossia stravolgendo la natura della criticità che ci si potrebbe parare dinnanzi.
Ciò che mi hanno insegnato i passi sul cavo è che di fronte alle situazioni critiche, quando il rischio aumenta, è bene rallentare piuttosto che cercare in fretta di fuggire, e penetrare a fondo la situazione, per capirla, per comprenderla, e per farla evolvere in qualcosa d’altro. Insomma la soluzione è nel problema, bisogna però allenarsi a stare nel problema. Per fronteggiare ogni rischio è bene conoscere il rischio, frequentarlo, saperlo accogliere per quello che è.
Questa abitudine ci permette di leggere bene la situazione, per ciò che è, e non per quello che vorremo che fosse, crediamo che sia o dovrebbe essere, solo così potremo dare la risposta giusta e uscire dalla crisi.
Se non siamo abituati al rischio quando ci finiamo in mezzo, trovandoci esposti, e scopriamo di essere fragili, aggiungiamo anche il rischio di perdere la lucidità e le capacità che abbiamo acquisito, di non poter attingere a tutte le nostre competenze, proprio quando ne avremmo più bisogno.
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1 commento
Un insegnamento su come affrontare le situazioni rischiose come nessuno ha mai fatto. Bellissimo!