PIT AREA’S VOICES #23 – Carlo Giordano, formatore BEN srl

di Rock'n'safe
Carlo Giordano

Sciogliamo subito il ghiaccio, come ti chiami e quale ruolo rivesti in azienda?

Mi chiamo Carlo Giordano, ho 36 anni e attualmente sono dipendente di BEN Srl, un’azienda operativa nel settore della salute e sicurezza sul lavoro, con 3 sedi in Puglia, e attiva prevalentemente nel sud Italia, ma comunque presente su tutto il territorio nazionale.

Io sono un formatore, e tengo corsi di formazione sia per enti pubblici, che aziende private. Completo il mio ruolo lavorativo facendo anche attività di consulenza e rivestendo il ruolo di RSPP/ASPP per alcune aziende del settore edile.

 

Come ti sei avvicinato/a a questo lavoro e cosa ti ha fatto capire che questo è il lavoro giusto per te?

La mia storia con questo lavoro parte con una iscrizione quasi casuale al test di ingresso per il corso di laurea in Tecniche della prevenzione negli ambienti e nei luoghi di lavoro presso l’università di Bari. Facoltà che a metà percorso ho abbandonato, per vari motivi. Dopo 4 anni di sospensione, ho deciso di riprendere l’università e portare comunque a termine il percorso di studi, odio lasciare le cose a metà… durante questa seconda parte del percorso universitario ho incontrato due persone, prima ancora che due professionisti, il tutor del tirocinio dell’ultimo anno e il tutor di tesi, che con approcci molto diversi, mi hanno riacceso il fuoco della curiosità che mi ha portato a capire che questa era ed è la mia strada.

Così dopo la laurea ho iniziato la collaborazione in un piccolo studio di consulenza, e piano piano, esperienza dopo esperienza, sono arrivato dove sono adesso, ovvero a fare con passione e dedizione il lavoro che amo.

 

Nel corso della tua carriera qual è stato l’episodio che ricordi con più piacere e quale con meno?

Parto da una premessa: per me tutte le esperienze rivelano sempre un qualcosa da imparare, per cui ogni episodio ha un aspetto positivo.

Ad ogni modo, un evento che mi fa piacere ricordare è senza dubbio, un episodio legato al primo grosso cantiere in cui ho rivestito il ruolo di ASPP per il general contractor. Il mio ingresso è avvenuto dopo alcuni mesi dall’avvio dei lavori, mesi in cui si erano radicalizzate alcune abitudini non proprio corrette, tra cui il mancato rispetto delle procedure previste. Non è stato semplice riuscire a far accettare la mia figura, ma con costanza, determinazione e un po’ di fatica ce l’ho fatta. La mia massima gratificazione è stata quando, rientrando in cantiere dopo un paio di giorni di assenza, i lavoratori non avevano proceduto a fare una particolare attività in quota, perché non avevano la procedura per farlo. La cosa mi ha riempito di orgoglio, soddisfazione e soprattutto mi ha dato energie per portare avanti non solo quel cantiere ma il mio lavoro…

Più che un episodio negativo, ciò che mi viene in mente che associo al termine negativo è un certo modo di fare sicurezza o meglio, di non fare sicurezza. Ovvero l’idea diffusa in molte aziende che non serve investire in sicurezza, che basta avere “le carte”. Questo modo di ragionare per me è inconcepibile, ma in fondo è proprio di combattere chi la pensa così che mi dà forza per fare il mio lavoro al meglio delle mie possibilità e capacità.

 

Hai mai dovuto affrontare un grave infortunio di un collega? Se sì raccontaci la tua personale esperienza.

L’episodio non è un vero e proprio incidente sul lavoro, ma comunque è costato la vita ad un lavoratore. Potrei raccontare di quella mattina qualsiasi dettaglio o particolare, perché giornate così ti restano dentro e ti cambiano per sempre.

Stavo seguendo un importante cantiere e con il CSE ci confrontavamo spesso, su come portare avanti le attività in cantiere. Lui esigeva continuamente integrazioni alla documentazione, implementazioni alle procedure, guardava molto più la carta che il cemento e la polvere del cantiere, io preferisco trascorrere le giornate al fianco dei lavoratori cercando di capire insieme a loro quale sia il modo più sicuro di lavorare. Da settimane ero alle prese con l’ennesima revisione di una procedura, dove non si contestava la procedura operativa, ma l’utilizzo di un vocabolo o la scelta di un sinonimo, per cui mi capitava di stare meno in cantiere e molto più in baracca. In questo contesto è successo l’evento che mi ha segnato parecchio.

Era una mattina di fine giugno, un lavoratore, impegnato nell’attività di montaggio di una struttura metallica con l’ausilio di una PLE, avvertendo un leggero malessere decide di scendere dell’attrezzatura e si dirige in baracca di cantiere avvisando il suo datore di lavoro, presente in cantiere. Dopo alcuni minuti, vedendo che il lavoratore non faceva ritorno in postazione il datore di lavoro, mi chiama informandomi della cosa, corro nella loro baracca che era praticamente di fianco a quella in cui ero in quel momento, e trovo il lavoratore riverso per terra privo di coscienza. Attivo immediatamente tutte le procedure di primo soccorso, partecipando anche io in prima persona, ma purtroppo dopo oltre due ore di tentativi di rianimarlo da parte del personale del 118 ci viene data la notizia che ormai nulla più poteva essere fatto. Erano giorni che spendevo il mio tempo a cercare le parole giuste per assecondare un CSE, e in quel momento non avevo più le parole per esprimere il mio stato d’animo, per spiegare il senso di fallimento che provavo.

È stato un brutto colpo, una esperienza molto forte, ma da quel giorno ho promesso a me stesso che mai più avrei permesso di trascurare il lavoratore a vantaggio delle carte

 

Quali sono le soft skills che un/una professionista del mondo della salute e sicurezza sul lavoro deve assolutamente avere?

Credo che chi si occupa di sicurezza sul lavoro debba essere in grado di empatizzare con il lavoratore. Entrare nei suoi panni e mostrargli un altro modo di indossarli, un modo più sicuro.

Nella mia esperienza lavorativa spesso ho assistito ad azioni poco sicure, giustificate dai lavoratori con la convinzione che quello sia l’unico modo possibile per portare a termine il lavoro. È importante che i lavoratori capiscano che esiste sempre un’alternativa chiamata “Sicurezza”.

L’empatia è fondamentale per attivare percorsi formativi efficaci. La formazione non va intesa come un mero adempimento burocratico, e nemmeno come un riempire un certo numero di ore in aula. La formazione è la possibilità di sviluppare con i lavoratori un approccio critico all’ambiente di lavoro, all’utilizzo di attrezzature, all’assumere abitudini, al definire scale di valori e piramidi di priorità. Chi si occupa di formazione deve avere competenze specifiche ed adeguate. Troppo spesso si vede in giro, approssimazione, incompetenza, improvvisazione, tutte caratteristiche che fanno perdere fiducia nella categoria e che creano il pregiudizio verso l’utilità della formazione stessa. Io sono un Facilitatore Certificato con metodologia LEGO® SERIOUS PLAY®, e mi piace applicare questa metodologia nei percorsi formativi, per riuscire a dare un taglio più esperienziale ed efficace alla formazione.

Quindi un’altra skill utile credo sia la capacità di innovarsi, di sperimentare, di confrontarsi, di restare sempre al passo con i tempi, le normative cambiano, ma prima ancora della normativa cambiano i contesti, le tecniche e le tecnologie e restare aggiornati è fondamentale per prevenire i rischi.

 

Cosa ti aspetti nel futuro della salute e sicurezza sul lavoro? Pensi che le nuove generazioni siano più attente a queste tematiche?

Per il futuro della sicurezza sul lavoro, mi piacerebbe che si cominciasse a parlare di sicurezza sin dai primi anni di scuola, che la sicurezza fosse un concetto a cui allenare le persone sin dall’infanzia, creare la tanto agognata cultura della sicurezza. Non parlo solo di sicurezza sul lavoro, ma di sicurezza in ogni ambito. Sarebbe fondamentale che tutti fossero in grado di riconoscere i pericoli, valutare in maniera critica i rischi per pensare a modi alternativi di agire, modi più sicuri per portare a termine un’azione.

Se penso a questo modo di intendere la cultura della sicurezza, mi rendo conto che oggi abbiamo una sicurezza garantita da una tecnologia più elevata, ma abbiamo anche la tecnologia per eludere i sistemi di sicurezza e questo vuol dire che il sistema di sicurezza più corruttibile è proprio la nostra testa, e su quella ci lavori solo con la cultura della sicurezza.

 

Per concludere, quale consiglio daresti a un giovane che si avvicina a questa professione?

A chi decide di avvicinarsi a questa attività lavorativa consiglio, oltre allo sviluppo delle skills di cui prima, di mantenere sempre viva la propria curiosità.

Essere curiosi vuol dire voler conoscere i processi e i metodi di lavoro e quindi riconoscere anche i pericoli reali. Essere curiosi vuol dire provare a interpretare le motivazioni che spingono un lavoratore ad agire in un determinato modo e quindi provare a prevenire alcune logiche sbagliate, Essere curiosi vuol dire voler sperimentare nuovi approcci al proprio lavoro, e considerando la sicurezza sul lavoro non una scienza esatta, ma una disciplina empirica, perfettibile, la curiosità diventa indispensabile per evolversi e migliorarsi. A chi si avvicina a questa disciplina consiglio di non restare mai da soli, essere parte di un gruppo, di una comunità, vuol dire confrontarsi, vedere da punti di vista differenti, avere spunti di riflessione e confronti interessanti, e quindi vuol dire accrescere la propria competenza ed efficacia.

Un ultimo consiglio, che poi è quello che do anche a me stesso, è quello di essere rock sempre e comunque.

 

 

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