Sciogliamo subito il ghiaccio, come ti chiami e quale ruolo rivesti in azienda?
Ciao, sono Vincenzo Fuccillo, sono un consulente aziendale e da oltre 20 anni mi occupo di sicurezza sul lavoro: da ancor prima di laurearmi. Da alcuni anni sono presidente di Assoprevenzione dove mi occupo principalmente della formazione dei miei colleghi (formatori e RSPP), per vivere sono RSPP di alcuni gruppi industriali e per passione da alcuni anni mi occupo di formazione universitaria dei TPALL (Tecnici per la prevenzione…)
Come ti sei avvicinato/a a questo lavoro e cosa ti ha fatto capire che questo è il lavoro giusto per te?
Durante gli studi universitari ho frequentato un corso/esame “Sicurezza degli impianti industriali” che era anche abilitante per RSPP e per Coordinatore. Nello stesso periodo avevo iniziato un’attività “settore marketing” insieme al mio migliore amico ed un terzo socio che come sua attività principale si occupava di medicina del lavoro. Una collaborazione part-time nata quasi per gioco che nel tempo sarebbe diventata la mia vita. Laureato intrapresi un master in gestione dell’innovazione e contemporaneamente iniziai ad insegnare alle scuole superiori nel mentre l’attività professionale “safety” cresceva: dal 2008 è diventata la mia unica occupazione. Quel terzo socio nel tempo è diventato una sorta di fratello maggiore ed oggi è il presidente di Federdat.
Nel corso della tua carriera qual è stato l’episodio che ricordi con più piacere e quale con meno?
Parto da quello che ricordo con più sofferenza: era il 2009 ed avevo appena avviato i lavori di ristrutturazione di casa: io ed il titolare dell’impresa ci eravamo allontanati insieme mentre gli operai iniziavano il montaggio di un montacarichi a bandiera al balcone. Al rientro abbiamo trovato il montacarichi caduto ed un operaio gravemente ferito: un lavoratore accortosi che il montacarichi non era stabile era intervenuto maldestramente provocandone lo sgancio. Le urla di dolore e terrore dell’infortunato e dei presenti, l’arrivo dei carabinieri e dell’ambulanza: qualcosa di indimenticabile che ha palesemente cambiato la mia vita ed il modo in cui mi rivolgo ai lavoratori. Quell’episodio ha trasformato un “lavoro” in una “missione”.
I momenti più belli della mia carriera invece sono recenti: il riconoscimento professionale e personale che ho ricevuto al termine delle tre edizioni dell’HSE symposium di Napoli: centinaia di colleghi e di studenti vistosamente soddisfatti della loro partecipazione.
Hai mai dovuto affrontare un grave infortunio di un collega? Se sì raccontaci la tua personale esperienza.
Riporto due momenti “topici” collegabili alla domanda: in ordine temporale una giovane collega che ha ricevuto una telefonata in cui la informavano che suo cugino era morto sul lavoro schiacciato da una pressa in un’industria alimentare non lontana dal nostro ufficio: lo shock è stato tale che non è più riuscita a fare questo lavoro ed ha dovuto cambiare vita; arrivare per primo sul luogo dell’incidente dopo una richiesta di aiuto di un collega che si era ribaltato con l’auto e si era ferito gravemente.
Mentre vi racconto questo però rimbalzano nella mia mente le parole di un lavoratore che sabato mattina era qui in azienda per un corso “anticaduta” imposto dall’organismo di vigilanza dopo che un suo collega era caduto “mortalmente” da un ponteggio: uno spazio di 40cm fra la tavola ed il fabbricato era bastato ad avviare una caduta di 10 metri. Due amici sessantenni che lavoravano insieme da una vita: ingegnè, mi sono girato ed ho fatto una decina di passi sul ponteggio, ho sentito un rumore strano ma ho capito subito cosa stava succedendo, sono sceso più veloce che potevo ma quando sono arrivato da lui ho capito subito che c’era poco da fare: ho provato a tenerlo sveglio ed aiutarlo… è passato un mese ed ancora a volte sul lavoro lo chiamo o gli chiedo qualcosa ma lui non c’è. Non si è aggrappato, non si è parato, è cauduto come un sacco, non era da lui, di sicuro è successo qualcosa, ancora non ci hanno dato l’esito dell’autopsia ma sono certo che ha avuto un mancamento.
Nel dolore di un vecchio operaio in lacrime appare una realtà ancora più triste: l’incidente non può essere avvenuto per una serie di errori (fra cui il ponteggio non conforme) ma deve per forza essere stato causato da un’entità esterna: l’infortunio è la mancanza di fortuna, è il fato avverso contro la persona.
Quali sono le soft skills che un/una professionista del mondo della salute e sicurezza sul lavoro deve assolutamente avere?
Domanda semplicemente complessa: un professionista della salute e sicurezza sul lavoro dovrebbe averle tutte per cui ritengo che la più importante sia la capacità di lavorare in team riconoscendo i propri punti di forza e quelli degli altri: la metafora perfetta è quella del gioco del calcio dove una “squadra” compatta di 11 calciatori mediocri può sconfiggere 11 prime donne scoordinate.
Per importanza la seconda soft skill è la capacità comunicativa-negoziale: il mondo SSL è pieno di cattive abitudini e tutti sappiamo che le cattive abitudini sono difficili da scardinare in particolare quando non vengono neanche riconosciute come tali.
Aggiungo al terzo posto un’altra soft skill importante e che spesso vedo carente in illustri professionisti: aggiornarsi ed adeguarsi ai tempi; il mondo del lavoro e la società evolvono continuamente e sempre più velocemente: se vogliamo impattare positivamente dobbiamo essere al passo con i tempi.
Cosa ti aspetti nel futuro della salute e sicurezza sul lavoro? Pensi che le nuove generazioni siano più attente a queste tematiche?
Sono un grande ottimista per natura, ma non potrebbe essere diverso facendo questo lavoro: se si perde la speranza nel miglioramento diventa difficile impegnarsi a fondo.
Le nuove generazioni sono molto diverse dalle nostre, il distacco generazionale è enorme a causa dell’incredibile velocità di evoluzione della società ma anche loro hanno bisogno di essere guidati. Ci hanno dimostrato di avere a cuore il pianeta e l’ambiente molto più di noi, ci dimostreranno di avere a cuore la loro vita molto più di noi. Il vero problema siamo noi che, purtroppo, diamo il cattivo esempio e rendiamo più difficile la loro evoluzione.
Iniziative cone ROCK’N’SAFE, o come la Nazionale Italiana Sicurezza sul lavoro di cui sono dirigente da alcuni anni, servono proprio a combattere il cattivo esempio che diamo ai nostri figli: dobbiamo entrare nelle scuole e mostrare loro che esiste un modo migliore di lavorare e che è possibile creare un mondo dove nessuno dovrà mai rinunciare a godersi la famiglia e gli amici a causa di un indicente sul lavoro.
Per concludere, quale consiglio daresti a un giovane che si avvicina a questa professione?
Lascio qui la stessa considerazione che lascio ai miei studenti: il settore SSL è un settore che non conosce crisi professionale; un settore in cui si lavora tutti e che non conosce disoccupazione e che per tale motivo molto spesso attrae persone motivate solo dai profitti mentre invece la prevenzione è e deve essere una vocazione. È facile farsi attrarre dal lato oscuro vendendo al miglior offerente attestati e documenti copia-incollati ma le vere soddisfazioni si possono ottenere solo con grande impegno.
Visitate i luoghi di lavoro con gli occhi dei bambini, ascoltate quello che i lavoratori hanno da dirvi, fate tesoro dei vostri e dei loro errori e diventerete dei grandi professionisti.
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