PIT AREA’S VOICES #09 – Mirella Ponte, Responsabile Divisione Ambiente e Sicurezza Università di Trento

di Rock'n'safe
Mirella Ponte

Sciogliamo subito il ghiaccio, come ti chiami e quale ruolo rivesti in azienda?

Mirella Ponte, Responsabile della Divisione Ambiente e Sicurezza dell’Università di Trento. La mia Divisione ha la Gestione della Sicurezza Antincendio di Ateneo, la responsabilità degli Impianti Antincendio, la Gestione Ambientale, che comprende il coordinamento della gestione Rifiuti speciali e le tematiche Ambientali (scarichi in atmosfera, reflui etc.). Mi occupo inoltre di accessibilità, in collaborazione con gli uffici Inclusione, studenti e dipendenti, di Ateneo. Sono Mobility Manager di Ateneo e creatrice e coordinatrice del progetto “Per una Sicurezza inclusiva”, proposto all’Ateneo nel 2019, che ha come fine la verifica ed il miglioramento continuo delle strutture di Ateneo in ambito sicurezza, tenendo conto della presenza di utenti con specifiche necessità.

Mi definisco un “mostro a tre teste e due paia di gambe”, che sono quelle dell’accessibilità e della mobilità sostenibile. A prima vista sembrano competenze scollegate dalla sicurezza, ma a guardare a fondo c’è un filo conduttore ben solido che le lega tutte, che è il benessere dei nostri utenti. Ad esempio, migliorare le modalità di spostamento casa-lavoro e casa-studio in ottica di sostenibilità ha una evidente e indubbia ricaduta sul benessere dell’utenza, così come sulla sicurezza degli spostamenti stessi. Prendiamo ad esempio la proposta del car pooling: viaggiare “in compagnia” condividendo il viaggio ha una ricaduta positiva sul ridotto uso del cellulare alla guida – penso agli studenti, ma anche noi siamo spesso smartphone-dipendenti! – che è una delle principali cause degli incidenti su strada.

Last but not Least: sono Vigile del Fuoco volontaria.

 

Come ti sei avvicinato/a a questo lavoro e cosa ti ha fatto capire che questo è il lavoro giusto per te?

È stato attraverso un importante e “rocambolesco” near miss che si è verificato nell’azienda dove ho iniziato a lavorare subito dopo la laurea. L’azienda produceva prefabbricati “pesanti”, in cemento armato e cemento armato precompresso, per la realizzazione di edifici industriali e per il terziario. Il mio ruolo era di progettare per la produzione gli elementi portanti, travi, solai, pilastri e pannelli di facciata. Lavoro entusiasmante per una neo-laureata, ingegnere strutturista, che vede concretizzarsi in tempo quasi reale sulle piste di produzione il risultato dei propri calcoli. Calcoli in cui, come immagino tutti i neo-ingegneri, nutrivo una solidissima fiducia. Un pomeriggio, mentre ero in ufficio, sento un boato fortissimo. Assieme ai colleghi dell’ufficio tecnico mi precipito nel capannone di produzione, e mentre ci muoviamo verso il capannone il mio “collega senior”, che lavorava in azienda da più di vent’anni, si lascia sfuggire un “qui c’è scappato il morto”. In capannone ci troviamo di fronte una scena per me surreale: una delle due testate di tiro si era scardinata dalla struttura di ancoraggio a terra ed era letteralmente “saltata in aria”. Fortunatamente il getto di cemento già parzialmente indurito l’aveva trattenuta a mezz’aria, evitando che si scagliasse sugli operai in linea.

Ecco, a seguito di questo evento l’ingegnere di linea, assunto assieme a me, si è licenziato. Io invece ho voluto capire, approfondire, perché oltre i numeri, i calcoli, bisognava fare “attenzione” a qualcosa di più importante, fondamentale: la sicurezza. Non solo di chi nelle strutture che costruivo avrebbe poi lavorato e vissuto, ma anche di chi quelle strutture le realizzava.

La passione per l’antincendio viene invece da più lontano, dal liceo. Le finestre della mia aula affacciavano sul piazzale di manovra della sede del comando provinciale dei Vigili del Fuoco, per cui vivevo quotidianamente le attività da “spettatore privilegiato”. La divisa del Vigile del Fuoco esercita indubbiamente un fascino su bambini e ragazzino, io l’ho portata nel mio lavoro, anche se “dall’altro lato della barricata” come professionista antincendio,e nella mia attività di volontariato.

 

Nel corso della tua carriera qual è stato l’episodio che ricordi con più piacere e quale con meno?

L’episodio che ricordo con più piacere è recentissimo. Nell’ambito del progetto “Per una sicurezza inclusiva” ho proposto e strutturato una formazione integrativa da erogare agli addetti alla gestione delle emergenze sulla comunicazione e assistenza ad utenti con specifiche necessità. È stata una scommessa, siamo stati il primo Ateneo in Italia a proporre ed erogare una formazione specifica sul tema. Ebbene, lo sforzo organizzativo e realizzativo è stato ampiamente ripagato dall’entusiasmo che ho visto nei colleghi che hanno frequentato il corso nelle due edizioni 2022 e 2023, anche nei follow up successivi e nelle prove periodiche che svolgiamo nelle sedi, in cui a rotazione propongo anche l’assistenza ad utenti con specifiche necessità.

Da molti colleghi ho ricevuto ringraziamenti per aver proposto attenzione sul tema e per aver condiviso una visione nuova, che non è quella “assistenziale” ma dell’inclusione a 360 gradi.

Una collega mi ha definito “il lato umano dell’ingegneria”, definizione che un po’ mi fa sorridere – “sì, noi ingegneri siamo umani!” – mi fa soprattutto immensamente piacere perché mi fa capire che il messaggio che intendevo veicolare con la formazione è passato.

Non ho un episodio spiacevole, di contro, ma tante piccole “delusioni” legate alla mancanza di comprensione dell’effettività del nostro ruolo in azienda; piccole, per fortuna, rispetto invece alla soddisfazione che si prova di fronte a un lavoro fatto bene, un progetto che va in porto, e la crescente fiducia dei colleghi con cui mi interfaccio nel mio lavoro; il ruolo che rivesto è partito come funzione nel 2021, e in questi due anni e mezzo abbiamo messo in campo diversi progetti, in ambito impiantistico, ambientale, formativo.

 

Hai mai dovuto affrontare un grave infortunio di un collega? Se sì raccontaci la tua personale esperienza.

Mi viene in mente l’episodio che ha “risvegliato” il mio desiderio di occuparmi di sicurezza anche all’Università di Trento, Ateneo dove sono approdata nel 2016 dopo aver lavorato alla “Federico II” di Napoli e all’Università di Perugia. Nel 2017, quando rivestivo il ruolo di Responsabile manutentivo delle sedi scientifiche di Ateneo, uno degli edifici di cui ero responsabile è stato interessato da un incendio doloso. L’evento non ha coinvolto per fortuna (e solo per un caso, perché la ricercatrice che lavorava nel laboratorio colpito aveva lasciato il lavoro un paio d’ore prima) né  colleghi né studenti, ma ha avuto ovviamente gravi e prolungate conseguenze sull’operatività del sito con una lunga chiusura della sede per la successiva verifica strutturale e la bonifica post incendio. In quella circostanza mi sono accollata un ruolo che forse non mi competeva però che mi sono comunque sentita in dovere di assumere, ovvero coordinare l’intervento di bonifica post incendio. Tra l’altro, ironia della sorte, due giorni prima avevo superato le prove attitudinali per diventare vigile del fuoco volontaria e la notte dell’incendio la prima squadra in intervento era proprio la mia.

Da vigile del fuoco, mi ha colpito molto un intervento in galleria, con un mezzo pesante che trasportava rottami di ferro ribaltato, purtroppo investendo mortalmente il conducente. Un ragazzo poco più che quarantenne, che ha trovato la morte per una disattenzione a pochi chilometri dal sito di destinazione. Una distrazione nella messa in sicurezza del mezzo, prima di scendere a controllare una anomalia all’impianto idraulico, forse per stanchezza, o per la fretta di arrivare a destinazione, o entrambe. Siamo stati allertati per il supporto al personale 118 elitrasportato, intervento purtroppo inutile perché il guidatore era già deceduto quando è arrivato il personale sanitario. Quando si interviene per soccorso ci si porta sempre l’intervento dentro, con le emozioni che ci ha suscitato. Io mi son portata dentro anche la profonda convinzione che la componente umana è fondamentale e che bisogna considerarla nel curare la sicurezza delle persone, perché è di quella che ci occupiamo, più che della sicurezza dei luoghi, delle strutture, degli impianti.

 

Quali sono le soft skills che un/una professionista del mondo della salute e sicurezza sul lavoro deve assolutamente avere?

La prima è la comunicazione. La capacità di comunicare è fondamentale. Comunicare che non vuol dire solo informare.

Tutto ciò che non comunico non esiste, e spesso di sicurezza si parla in termini di assenza, di mancanza. La comunicazione deve invece aiutare a percepire la sicurezza come presenza, soprattutto in una struttura come l’università (ma penso anche alle scuole) in cui i genitori ci affidano i propri figli, e lo fanno senza dubbio “fidandosi” della sicurezza delle strutture in cui i ragazzi e i loro genitori vivono questo investimento sul loro futuro.

Assieme alle informazioni sull’offerta formativa, sui servizi collegati, sulle aule, le biblioteche, comunichiamo anche quanto sono sicure e accessibili le strutture. Non c’è dubbio che anche su questi aspetti si gioca la scelta di un Ateneo piuttosto che un altro, no?

Altra skill fondamentale è la capacità di fare squadra. Di includere e includersi, di farsi leggere non come il “necessario per legge”, ma come l’elemento del team che rileva le carenze e le necessità ma che propone anche le soluzioni, sempre ovviamente nel rispetto dei ruoli. Bisogna essere capaci di far passare il messaggio che se veniamo coinvolti al momento giusto ne guadagniamo tutti, nel team ma anche nella qualità del prodotto/servizio che si propone all’utenza e agli stakeholders in generale.

 

Cosa ti aspetti nel futuro della salute e sicurezza sul lavoro? Pensi che le nuove generazioni siano più attente a queste tematiche?

I ragazzi hanno bisogno di stimoli e ideali.

L’ho percepito fortemente quando abbiamo erogato il primo questionario sugli spostamenti casa-lavoro e casa-studio, su cui non mi aspettavo una risposta così alta. Sembrava quasi che stessero aspettando il passaggio di un testimone per avviare con sprint la propria frazione, e le proposte che hanno portato hanno dimostrato una riflessione e una propensione a voler davvero costruire, portano proposte concrete e la sostenibilità e la sicurezza sono spesso componenti importanti delle soluzioni che propongono. Ecco, noi dobbiamo passargli bene il testimone; sono momenti difficili, dal Covid in poi si ha la sensazione e il timore di vivere in un mondo insicuro, le nuove generazioni forse l’avvertono anche più di noi; vedo però tanto impegno e voglia di fare, di ripartire.

 

Per concludere, quale consiglio daresti a un giovane che si avvicina a questa professione?

C’è una frase in particolare dell’inno “non ufficiale dei vigili del fuoco” – IL POMPIERE PAURA NON NE HA, canzone che per altro non mi piace – che recita “salviam la vita agli altri, il resto conta poco”. Ecco, chi si avvicina al mondo della sicurezza deve farlo con questo spirito. Deve tenere sempre in mente che il fine principale deve essere la vita, il benessere, la salute delle persone. Chi si avvicina a questo mondo deve accendere questa candelina, con la scritta I care, e mantenerla sempre accesa.

Io mi prendo cura, è questo il motto che ci deve guidare. Se c’è questo fine primo, non si può non percepirlo come il lavoro più bello del mondo.

 

 

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