L’IA ci rende più intelligenti o più pigri?

di Flaminia Fazi
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L’adozione dell’intelligenza artificiale (IA) sta semplificando la vita quotidiana e il lavoro, prendendosi carico di compiti anche complessi e offrendo soluzioni immediate a problemi che, fino a poco tempo fa, richiedevano tempo e sforzo cognitivo e decisionale umano.

Ma cosa succede alla nostra mente quando delega sempre più funzioni all’IA?

Se la tecnologia pensa per noi, ragiona al nostro posto e ci offre risposte pronte, che ne sarà di quelle capacità che ci permettono di sviluppare un pensiero critico, di elaborare idee complesse e persino di adattarci al cambiamento.

La mente umana, proprio come un muscolo, ha bisogno di esercizio per mantenersi attiva ed elastica: la disponibilità della nostra dotazione di neuroni dipende dalla nostra capacità di stimolarne continuamente l’attivazione. Demandare tante operazioni all’IA potrebbe portare a un’atrofia cognitiva, simile a ciò che accade quando il corpo non viene allenato: la capacità di problem solving si potrebbe ridurre, la memoria potrebbe diventare meno efficace e con questi fenomeni anche il senso di autoefficacia si potrebbe sgretolare.

IA e Atrofia Cognitiva: Un Rischio Neurologico?

Da un punto di vista neuroscientifico, l’apprendimento e il pensiero critico si basano sulla plasticità cerebrale, ovvero la capacità dei neuroni di formare nuove connessioni attraverso l’esperienza e la risoluzione di problemi. Quando affidiamo alla tecnologia la maggior parte delle decisioni quotidiane – dalla strada migliore per arrivare a destinazione ai suggerimenti sui libri da leggere, dai contenuti personalizzati sui social ad una relazione generata dall’IA – riduciamo l’attivazione neuronale, tutta l’attività trasnderivazionale e lo sviluppo di pensieri complessi che operano e si sviluppano in background continuamente assolutamente a livello inconscio.

Il cervello, in assenza di stimoli, inizia a “potare” le connessioni sinaptiche meno utilizzate, un processo noto come pruning sinaptico. Se non esercitiamo il pensiero critico e la creatività, perdiamo gradualmente la capacità di analizzare situazioni complesse e di generare idee originali. Questo fenomeno non solo riduce l’efficacia mentale, ma lo sviluppo della consapevolezza di questa inefficacia promuove un processo vizioso in cui si alimenta un senso di insicurezza psicologica: affindando i nostri compiti all’IA ci deresponsabilizziamo e ci sentiamo sempre meno in grado di affrontare le sfide senza il supporto della tecnologia.

Ricerche hanno dimostrato che l’eccesso di automazione porta a un calo dell’attenzione e della capacità di prendere decisioni autonome. Ad esempio, nel settore dell’aviazione, l’uso intensivo del pilota automatico ha ridotto l’abilità dei piloti di gestire situazioni di emergenza, poiché il loro cervello si è “disabituato” a risolvere problemi in tempo reale.

Dall’atrofia cognitiva all’insicurezza psicologica il passo è breve

La perdita graduale delle capacità cognitive ha un impatto profondo sulla sicurezza psicologica delle persone: prendiamo come esempio quell’incertezza crescente che si sviluppa negli anziani che perdono gradualmente le proprie capacità per una riduzione della capacità neuronale. Quando sentiamo di non essere più in grado di risolvere problemi senza aiuto, sviluppiamo un senso di vulnerabilità e dipendenza che erode il senso di autostima e il benessere mentale.

Amy Edmondson, esperta di sicurezza psicologica, sottolinea come un ambiente lavorativo sano sia quello in cui le persone si sentono libere di esprimere idee e affrontare le sfide senza paura di fallire. Ma se la tecnologia riduce la necessità di pensare, il rischio è quello di una generazione di persone che evitano il confronto, temono l’errore e si rifugiano nelle risposte “preconfezionate” dell’IA, senza sviluppare antifragilità, intelligenza emotiva e spirito critico allenando il proprio pensiero e la propria intelligenza nelle sue varie declinazioni.

Tutta questa fragilità emotiva che sta crescendo nelle relazioni sentimentali è frutto di una mancata sperimentazione pratica delle relazioni tra persone e della gestione delle dinamiche psicologiche ed emotive ad esse correlate.

Come evitare la pigrizia mentale?

Per evitare che l’adozione dell’IA porti a un declino delle capacità mentali e della sicurezza psicologica, è utile adottare strategie mirate che provo a suggerirvi:

  • limitate la delega totale e stimolate il vostro pensiero critico.
    Invece di accettare passivamente le risposte dell’IA, allenatevi a metterle in discussione, confrontarle con altre fonti e sviluppare un nostro ragionamento autonomo.
  • Mantenete una pratica attiva di apprendimento continuo.
    Il cervello ha bisogno di sfide costanti: leggere, scrivere, risolvere problemi complessi, integrare informazioni da fonti differenti, fare sintesi e elaborare delle concettualizzazioni originali, senza affidarsi subito alla tecnologia, sono esercizi fondamentali per mantenere la plasticità neuronale e attive le vostre funzionalità.
  • Adottate un’approccio collaborativo al lavoro.
    Il confronto con altre persone aiuta a prendere in considerazione prospettive e euristiche diverse, sviluppare idee nuove e a esercitare capacità analitiche che manterranno allenate le vostre capacità psicologiche e cognitive.

Come ha scritto Paul Kalanithi, in Quando il respiro si fa aria: “La conoscenza umana non è mai contenuta in una sola persona. Cresce dalle relazioni che creiamo tra noi e il mondo, e tuttavia non è mai completa.”

  • Usate l’IA come supporto, non come sostituto.
    L’IA dovrebbe essere vista come uno strumento per amplificare le capacità umane, non per sostituirle. Sviluppa un rapporto con l’IA che promuova il tuo apprendimento, la tua crescita, la tua ottimizzazione e evita di fargli sostituire processi chiave che allenano le tue capacità.

Vi lascio con un pensiero poetico.

Una mente che smette di esplorare è come un cielo senza stelle: perde profondità, meraviglia e direzione. Solo chi resta curioso continua a illuminare il proprio cammino.

 

 

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