Il mare, quell’incredibile elemento mutevole, affascinante, ipnotico nel suo sciabordio ritmico delle onde nelle giornate di calma, terrificante nelle sue mareggiate intense, è capace di attrarci in un modo incredibile, istintivo, quasi primitivo. “Eppure er mare…er mare, quann’è bello, che vedi quel’azzurro der turchino, che te ce sdraj longo lì vicino, te s’apre er core come ‘no sportello”, diceva Cesare Pascarella ne “La Scoperta dell’America” un’opera in dialetto romanesco che, nel raccontare Cristoforo Colombo, sferza in realtà tanti mali della società, ma coglie anche la bellezza della natura, come quella, appunto del mare.
Il mare, elemento cantato da tanti rockers in mille modi diversi. Crosby, Still & Nash in Shadow Captain (LP CSN, 1977) parlano di un mare silenzioso che non porta verso alcuna terraferma (“Oh, captain why these speechless seas, that never come to land?”), raccontando il senso di smarrimento che a volte prende, navigando, quando intorno c’è solo l’orizzonte e si è assaliti da quel sottile timore, anche dopo migliaia di miglia sulle spalle, già navigate in altri viaggi. In una meravigliosa metafora, i Genesis paragonano il mare rabbioso al temperamento maschile, mentre la terra generosa a quello femminile, prendendo spunto dal mito greco di Tiresia, in The Cinema Show (LP Selling England by the Pound, 1973): “Once a man, like the sea I raged | Once a woman, like the earth I gave | But there is in fact more earth than sea”. Meraviglioso. Passando poi per la famosa “Sailing” di Rod Stewart o l’omonima canzone di Christopher Cross, che dice “Sailing takes me away to where I’ve always heard it could be | Just a dream and the wind to carry me | And soon I will be free”, narrando il vero desiderio di chi va per mare: sentirsi liberi.
È così: il mare offre una dimensione meravigliosa e, se lo si rispetta, di vero e proprio benessere interiore. E se anche il rock fa suo il mare, un potente motivo ci sarà!
Siamo alla vigilia dell’estate e dopo diciotto mesi faticosissimi e dolorosi per via di una pandemia malvagia come una strega dei racconti più bui, siamo già pronti con paletta e secchiello per tornare a vivere il mare, come più ci aggrada. 8.000 km di coste italiche (o magari anche coste di altri luoghi) ci aspettano per tuffarci di nuovo, prendere il sole, giocare a racchettoni, ronfare sotto l’ombrellone accarezzati dalla brezza marina (fino a quando il vento non si porta via ombrellone, borse e suocera…), “lumare le pupe” alla Joe Falchetto, sperando di non essere notati dalla propria moglie o dal palestrato boyfriend della pupa lumata…
Nel mio caso tornerò a navigare nel mio piccolo guscio di noce di 6m che ci porta, la Prodiera e io, in giro per il Mediterraneo. Non abbiamo mai avuto prima di ora un periodo così lungo senza navigare, dato che di solito lo facciamo anche in inverno coperti come eschimesi ma infreddoliti come il pinguino Mambo in Happy Feet. È stato lo scotto pagato per le giuste misure di contenimento della pandemia, che finalmente si sta lentamente superando. Navigare e soprattutto veleggiare sono un dono divino, di una bellezza inenarrabile, è come entrare in una dimensione altra e come scendi a terra, ecco che vorresti immediatamente ripartire. C’è un momento magico che si ripete quando si va a vela e ogni volta è come la prima volta: quando si esce dal porto, obbligatoriamente a motore, si alzano le vele, il vento comincia a far andare la barca e il motore, quel pulsante essere di metallo e olio viene azzittito… e nel silenzio si va, come d’incanto. Meglio di un assolo di Clapton!
Ed è proprio qui che entra in gioco lei, la Sicurezza. Trovo che la Sicurezza per chi va per mare sia la promessa più bella che si possa fare a sé stessi per poter continuare a navigare. In mare la sicurezza è la vita stessa, senza mezzi termini, non esistono altre definizioni. Non c’è spazio qui per fare un trattato sulla sicurezza in mare, tema molto serio e molto ampio, ma voglio dare alcune indicazioni vissute sulla pelle in 40 anni di navigazioni.
Il mare non va mai sfidato. Anche quando è calmo, se non si ci sono le condizioni corrette (barca non a posto, equipaggio non adatto, previsioni in peggioramento, tanto per dirne alcune) non si deve assolutamente osare. Si è malati di necessità di adrenalina e di emozioni forti? Bene, consiglio allora le regate, perché nelle regate l’adrenalina è a mille, visti gli incroci al millimetro con le altre barche e il gareggiare in (quasi) tutte le condizioni meteo. Le regate hanno il grandissimo vantaggio di insegnare molto e farlo in un contesto protetto. Nel campo di regata, infatti, non si è mai soli, sia perché ci sono gli altri concorrenti che in caso di difficoltà possono dare soccorso, ma ancor di più i battelli appoggio e la barca giuria. Insomma, un’ottima palestra per portare la barca e l’equipaggio al limite delle proprie prestazioni e spararsi un’endovena di emozioni vibranti! Ma al di fuori di questi contesti, si deve navigare con grande attenzione, il che significa non portare mai né la barca, né l’equipaggio allo stremo, a meno che non si venga colpiti da un groppo temporalesco (ahimé sempre più frequenti) o da una perturbazione che in una lunga navigazione bisogna per forza affrontare, perché si è lontani dalla costa ed è proprio sulla nostra rotta.
La navigazione da diporto deve essere un meraviglioso piacere e proprio per questo ce ne dobbiamo prendere cura con tutti i criteri per renderla sicura: indossare i giubbotti non appena le condizioni diventano impegnative o durante la navigazione notturna, legandosi tramite una life-line per evitare di cadere in acqua, ridurre le vele per tempo, disporre della strumentazione necessaria per essere in grado di lanciare richieste di soccorso, avere la barca a posto e via dicendo. Applicare la sicurezza in modo sistematico significa prevenire tanti guai o situazioni delicate, che vanno dalla banale protezione dei piedi (in barca, prendere a piedi nudi una galloccia è quanto di più doloroso possa esistere, secondo solo alle coliche renali…) e delle mani (per chi maneggia le scotte, i guantini da velista sono vitali per non sfoggiare vesciche il giorno dopo), dal coprirsi ai primi sintomi di freddo, all’usare cappelli (meglio a falde larghe) e creme. Sembrano le raccomandazioni della nonna, ma sono importanti! In tanti anni ho avuto insolazioni da stare male per giorni, dita fratturate, tagli e qualcosa ne sa anche la bella Prodiera, che ha preso una bomata in pieno viso che, per pura fortuna, non le ha lasciato segni, nonostante si fosse ferita seriamente.
Pochi giorni fa c’è stato un tremendo incidente in mare, a Portisco in Sardegna. Un motoscafo ha speronato sul lato di dritta verso il giardinetto (angolo della poppa con la murata) una barca a vela, provocando la tragica morte dello skipper di quella imbarcazione. Come è stato possibile? In mare, soprattutto nei nostri mari, bisogna avere gli occhi sempre ben aperti su dove si sta andando, su chi abbiamo intorno e su come si muove e soprattutto non si può e non si deve fare uso di velocità sostenute sotto costa o in prossimità di incroci ravvicinati con altre imbarcazioni.
Soprattutto, l’uso non controllato del pilota automatico è la prima causa di incidenti in mare.
A parte il mio personale piacere di timonare e così è anche per la mia Prodiera che oramai mi ha soffiato il ruolo al timone, nel caso in cui si inserisca il pilota automatico, questo non esime dal controllo visivo costante della rotta e della situazione. Siamo stati sfiorati in tante occasioni da yacht condotti solo dal pilota automatico, magari con l’equipaggio in pozzetto a brindare e nessuno di “guardia”: terricoli che pensano di poter andare in barca semplicemente impostando le coordinate GPS e pigiando un tasto. Queste situazioni sono pericolosissime e più frequenti di quanto non si possa immaginare, purtroppo.
Ma la sicurezza al mare è da rispettare solo per chi naviga? E no, cari rockers! Vogliamo parlare della fila di Santi chiamati per nome, quando si decide di mettere una mano o un piede su un riccio di mare, o di abbracciare con amore una medusa? O di quelle che possono essere le rovinose cadute sugli scogli? Anche qui, bisogna usare sempre la testa e non sentirsi meno fighi se si indossano delle scarpette da scoglio, o se si fa grande attenzione a dove si appoggiano le mani sulle rocce o se si evita di fare un tuffo da una altezza che non ci lascia tranquilli. Per le meduse non ho grandi ricette, eccetto di evitare di fare gli eroi tuffandosi quando l’acqua intorno a noi sembra un rave party di flaccidi invertebrati. La Prodiera ha portato per mesi il segno di una carezza di queste bestie marine… E poi le immersioni improvvisate a profondità verso le quali non siamo avvezzi, o i tuffi nell’acqua bassissima, le congestioni certe dopo la calura e il terzo piatto di carbonara e la terza birra ghiacciata (occhio che non è il mare a far venire la congestione, ma quello che vi siete mangiati in quantità pantagruelica, magari con sbalzi di temperatura tra il caldo estivo e le bevande ghiacciate che ingerite, bricconi!).
Insomma, il mare è quella dimensione dove è bello “sailing on summer breeze, skipping over the ocean, like stone…” come canta Harry Nilson in Everybody’s Talkin’, una delle più belle colonne sonore da cantare a squarciagola veleggiando.
Ecco perché la Sicurezza è d’amare, perché amiamo il mare e per poterci tornare tutte le volte che vogliamo, dobbiamo sempre comportarci in sicurezza, navigando o facendo un tuffo, prendendo il sole o evitando le randellate quando lumiamo le pupe altrui!
Buona estate, buon mare and stay safe!
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