Sante Vittorio Malli, Quando la neve è pane, Milano, 1956, © Eredi Sante Vittorio Malli
Tempo d’estate e di caldo torrido e, quindi, tempo di ombrelloni e chiacchiere seduti sulla sdraio. Nei weekend di giugno e luglio, fatto salva la prelazione dei concerti, è facile trovarmi in Versilia dove scappo per fuggire dalla morsa del calore cittadino.
Quando frequenti una stazione balneare è facile intrecciare amicizie della durata di qualche mese, oggi stirate dal contatto social invernale. Si parla del più e del meno, dal gossip riguardante i frequentatori del bagno, allo sport, alla politica (poca). C’è poi chi casca nel parlare di sicurezza sul lavoro e per me è facile dato che le cariatidi di quel posto sanno cosa faccio nella vita.
A dire il vero la storia che ti sto per raccontare non parte dal presupposto della sicurezza, almeno da parte del mio interlocutore che chiamerò con il nome di fantasia Sergio.
Sergio è stato titolare di una micro impresa toscana, come tante qui da noi. Cinque, dieci, quindici dipendenti che, dati i rapporti stretti finiscono per diventare un’estensione della famiglia del titolare. Sergio ha ricordato gli ultimi tempi della sua lunga esperienza prima che tirasse giù la saracinesca ed è bello ascoltare storie come la sua e non solo quella degli Olivetti e dei Del Vecchio di turno.
Famiglia in posa sulla spiaggia di Viareggio, 1926. © Archivi Alinari
La ditta di Sergio riceveva commesse di lavoro da intermediari e i suoi prodotti finivano nelle boutique di grandi marchi, cosa comune per il nostro territorio e per molti altri. È un lavoro faticoso sempre attaccato alla corda tesa di chi ti dà lavoro.
Parliamo di altri tempi e, nonostante tutto, il lavoratore si faceva un mazzo tanto senza troppe lamentele perché comunque il lavoro è il lavoro. Posso immaginare che il mazzo fosse il triplo nel caso di Sergio perché stiamo parlando di una persona squisita, divertente e molto alla mano.
Probabilmente la storia di quella ditta sarebbe stata più lunga se, come a sua detta, non fosse stata vessata come lo fu nell’ultimo periodo. Pensa che l’Ispettorato del lavoro si indispettì perché trovò delle briciole sui banchi di lavoro e impose a Sergio di attrezzarsi con una mensa o qualcosa di simile dove poter far mangiare le persone in pausa pranzo.
Sergio obbedì. Prese un angolo del laboratorio e creò una separazione con del compensato. “Eh no!”, disse l’Ispettore, “almeno un tavolo con delle sedie devi metterlo, così non basta”.
Il pover’uomo obbedì anche se non capiva visto che i lavoratori continuavano a mangiare dove volevano.
A questa vicenda seguì un altro “carabiniere” che ebbe da ridire sul fatto che i barattoli di mastice erano tenuti sotto il banco e che, invece, dovevano essere in un ambiente separato debitamente aerato.
Ti assicuro che sentire queste storie raccontate da Sergio sono uno spasso che in confronto i Racconti del Barlume sono un film drammatico.
Il punto è che dietro il sorriso c’è un sapore amaro di come vanno le cose. Non stiamo parlando di un imprenditore “cattivo” o delinquente, ma di una persona splendida dal punto di vista umano.
Il fatto è che locali mensa così come i mastici non rientravano nella sfera cognitiva della tutela delle persone a cui tanto teneva. Di fronte all’ispezione reagiscono con vittimismo e le disposizioni hanno il sapore di vessazione, al punto di mandare tutti a quel paese e chiudere baracca e burattini. Sono certo che, se fosse successo qualcosa a qualcuno in quella ditta, una persona come Sergio non se ne sarebbe fatto una ragione non dormendoci sopra per notti.
C’è una fetta di conduttori di Azienda che culturalmente deve essere accompagnata a creare quel legame tra sicurezza sul lavoro e tutela della persona.
Invece di affrancare la lettera scarlatta sulla spalla del prossimo imprenditore, proviamo a tendere la mano tentando di avviare un percorso insieme.
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