“La varietà è l’anima del piacere” disse Aphra Behn, la prima donna della letteratura inglese riuscita a mantenersi con il suo lavoro di scrittrice.
Eppure non sempre l’uomo ha mostrato amore per la varietà, anzi, direi che in molti casi il “diverso” non è piaciuto e non piace affatto. Secoli di discriminazioni razziali, religiose, sociali, politiche e sessuali (sia di genere che di orientamento) la dicono lunga al riguardo. In definitiva si potrebbe affermare che vogliamo varietà… ma solo quella che sta bene a noi. Una varietà selezionata, insomma.
Ultimamente facevo una riflessione sui film di fantascienza. Avete mai fatto caso come in molte trame venga stabilito un ordine sociale basato su idee che urlano fallimento da tutte le parti e invece nulla, vengono imposte lo stesso? E poi che succede? Va tutto a rotoli. Ma guarda un po’…
Tutte queste trovate bizzarre hanno un comune denominatore: abolire la varietà a partire ovviamente dal suo più forte alleato, il libero arbitrio. Vi riporto tre esempi, ma sicuramente ce ne sono molti altri.
Nel 1997 “Gattaca” (un film che trovo comunque bellissimo) ci racconta un futuro in cui un attento controllo e un’accurata progettazione delle nascite fanno sì che il mondo si popoli di individui geneticamente perfetti, emarginando tutti gli altri. Come se la perfezione fisica fosse l’unico contributo che un essere umano possa dare al mondo per la crescita collettiva! Faccio solo un nome fra i tanti: Stephen Hawking. E non aggiungo altro.
Con “Equilibrium”, del 2002, il punto di vista si ribalta. In un futuro post apocalittico, per evitare l’insorgere di nuove guerre e far sopravvivere il genere umano non ci si concentra più sulla prestanza fisica ma sull’apatia emotiva. Un farmaco obbligatorio per legge ti cancella infatti ogni tipo di emozione.
Non sono un’esperta, ma così su due piedi ho idea che una persona senza emozioni semplicemente dopo un po’ muoia. Senza emozioni non hai alcun tipo di stimolo. Perché dovresti fare quello che fai? Inutile dire che il sistema fallisce.
Nel 2014 esce il primo capitolo della saga per adolescenti “Divergent”. Anche in questo caso ci troviamo in un futuro post apocalittico. Le persone della città di Chicago vivono all’interno di mura invalicabili e si dividono in cinque fazioni. Ogni fazione è composta solo da individui che hanno lo stesso tipo di propensione caratteriale e che sono destinati di conseguenza a determinate professioni. Tenere i piedi in due staffe (lèggi: fazioni) o cambiare fazione una volta deciso a quale appartenere non è decisamente ben visto, per usare un eufemismo. Anni e anni di studi sulle Risorse Umane gettati alle ortiche. Del resto è risaputo che in un team è meglio essere tutti uguali, tutti fatti con lo stampino, no? È noto che un individuo dia il meglio di sé quando esprime un unico aspetto del suo carattere, reprimendo gli altri?… Come? Dite di no? Già, in effetti no. E infatti anche in questo caso l’esperimento sociologico non funziona a lungo.
In un modo o nell’altro tutte le pellicole citate parlano di tentativi falliti di raggiungere una completa sicurezza attraverso il controllo globale. Mi viene in menta un’altra storia, molto ma molto più vecchia di quelle nominate, in cui i due protagonisti – un uomo e una donna – vivevano in un modo perfetto: non provavano dolore, non provavano fame, non provavano freddo… tutto era bello, piacevole e a portata di mano… compresa una certa mela che non potevano mangiare. Sappiamo tutti come è andata a finire.
L’eccesso di controllo non ha mai dato grandi frutti, per restare in tema frutta. La vita non è una linea retta che scorre senza interruzioni né sobbalzi e di cui vedi chiaramente la direzione, una sola. È piuttosto un oceano sconfinato bagnato da una gradevole pioggia continua, così che la superficie dell’acqua si apra continuamente per accogliere le nuove gocce che con il loro arrivo creano cerchi concentrici in espansione. Puoi prevedere fino ad un certo punto l’andamento di questi cerchi, ma non puoi sapere con esattezza in che modo si intersecheranno con quelli prodotti dalle altre gocce.
“La varietà è la vita. L’uniformità è la morte”, Benjamin Constant.
Nel mondo del lavoro così come nella vita non si potrà mai eliminare del tutto il rischio, non si potrà mai trasformare l’oceano in una retta, ma si può e si deve fare in modo che il rischio diventi un rischio calcolato. Le misure di protezione non devono servire per ingabbiare, ma al contrario per aumentare la libertà, rendendo liberi di compiere anche le azioni più pericolose perché la possibilità di farsi male viene limitata al massimo.
“Il mondo è bello perché è vario”, ha ragione il proverbio, tutto sta nel non confondere la varietà con l’anarchia e il libero arbitrio con il “faccio quello che mi pare quando mi pare e come mi pare”.
Vi saluto quindi con le parole di Daniel Gilbert: “Il segreto della felicità è la varietà, ma il segreto della varietà, come il segreto di tutte le spezie, è sapere il momento in cui farne uso”.
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