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28 agosto 1988, una folla di trecentomila persone si era radunata per il grande evento di Ramstein. Non sto parlando del noto gruppo tedesco Rammstein, anche se il collegamento esiste, ma di una località incastrata tra Francoforte e Stoccarda e a poche decine di chilometri dal confine con il Lussemburgo. L’evento era l’Airshow Flugtag ’88 e si svolse all’interno della base NATO.
Così come nei grossi concerti c’era chi era riuscito a ottenere le prime file o, per meglio dire, un’area prossima alla zona più vicina dove sarebbero sfrecciati i bolidi del cielo incantando tutti con le loro acrobazie. Ricordo vagamente quello che successe, ma lo ricordo perché avendo il padre a servizio dell’Aeronautica Militare, la notizia fece molto rumore anche in casa facendo scorrere più di una lacrima sul volto.
Gli eventi li conosciamo. Tre Aermacchi MB-339PAN, così si chiamavano gli aerei delle Frecce tricolori di quei tempi, entrarono in collisione durante il completamento della figura chiamata Cardioide. Scherzo del destino è una figura che prevede la disposizione della pattuglia acrobatica italiana a forma di cuore con il solista che lo trafigge. I tre bolidi con i piloti caddero dal cielo avvolti dalle fiamme e non ci fu scampo per nessuno, compreso per le 67 persone di quella folla in prima linea inghiottiti con violenza dalla fiamma di uno dei velivoli caduto vicino a loro.
Inutile dire che l’incidente è avvenuto in una condizione a dir poco pericolosa come aerei che sfrecciano a velocità pazzesche vicine tra loro, ma stiamo parlando di super professionisti altamente preparati. La letteratura ci spiega quale sia la preparazione di piloti e coordinatori da terra per fare cose del genere e che una stessa manovra viene ripetuta migliaia di volte. Non ho certo la competenza per svelare il motivo di un tale incidente e la sciocchezza per giudicare ferendo le persone tutt’oggi in lutto, ma una tragedia del genere ci serve come spunto che deve essere di insegnamento per noi e le generazioni future. Certo che, con il senno di poi, il pubblico sarebbe dovuto essere ad una distanza di sicurezza maggiore, così come poi è stato voluto dai protocolli successivi a questo evento e che altri, vedi i due giovani spettatori morti schiacciati da una macchina da rally, lo scorso weekend, dovrebbero prendere di esempio.
Non importa quanto preparati siamo, quante volte abbiamo ripetuto quell’operazione e quanto siamo consapevoli della valutazione dei rischi. Basta una frazione di secondo per cambiare la successione degli eventi. I rischi sono ovunque ed in ogni contesto. In quei casi dobbiamo essere pronti a gestire l’emergenza, consapevoli che anche questa prontezza potrebbe non bastare. Per essere pronti serve preparazione, formazione, addestramento, dobbiamo avere la testa nel qui ed ora e non farla vagare in altri universi mentre le nostre azioni sono governate dal pilota automatico. Basti pensare a quante volte guidiamo un’auto con la testa da un’altra parte, così come effettuiamo una lavorazione o utilizziamo un macchinario pensando ad altro. Quante volte non ci ricordiamo nemmeno di cosa abbiamo fatto dieci minuti prima? Dove avevamo la testa?
Una costante attenzione alla sicurezza è ciò che serve a onorare persone come Ivo Nutarelli, Giorgio Alessio, Mario Naldini e alle 67 persone che quel giorno di festa hanno perso la vita.
Si dice che il gruppo industrial metal Rammstein, formatosi nel 1993 a Berlino, abbia preso il nome in memoria di quel tragico evento e che l’aggiunta della “m” al nome della località sia stata voluta per assonanza alla parola “rammen”: urtare con violenza.
Il testo della canzone omonima “Rammstein” ha chiari riferimenti a quel giorno in cui il cielo prese fuoco.
Rammstein
un uomo brucia
Rammstein
Odore di carne è nell’aria
Rammstein
un bambino muore
Rammstein
il sole splende
Rammstein
un mare di fiamme
Rammstein
Sangue coagula sull’asfalto
Rammstein
Madri urlano
Rammstein
il sole splendeRammstein
una fossa comune
Rammstein
nessuno scampo
Rammstein
nessun uccello canta più
Rammstein
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