Fortunae rota volvitur

di Marco Colombo

Chiamiamola frase di: – introduzione. : che dire, l’Umanesimo e il Rinascimento li vedo come un parto isterico, postumo, di un gruppo di brillanti punk poco inclini alla sobrietà, nati intorno al 1130. Precursori, indubbiamente. *

C’era una volta un castello dove viveva un signore di nome…

Chissà quante volte abbiamo sentito iniziare così una storia, da bambini. Vedete, il sig… Ah, no? Non si può dire il nome del signore, ah dice GDPR? Trasliamo allora di qualche decina di metri…

Per le strade delle città universitarie, ma senz’ombra di dubbio anche nei peggiori bar di Carcassonne, già nell’XI e XII secolo serpeggiava un certo malessere, una sorta di urgenza impellente non più rimandabile. Forse più una summa di bisogni dallo scarso coefficiente etico all’atto pratico, contraddistinti però da un energico e piacevole senso estetico, socialmente impegnato seppur non in maniera radicale. Traduzione in inglese moderno: The Clash. [breve flashforward] Negli anni ’80 di quello che ormai è il “vecchio” XX secolo, – ma guarda un po’ – proprio nella Londra conservatrice e divisiva dell’epoca thatcheriana, nasce la band di Joe Strummer, una delle più illustri rappresentazioni musicali di sottile critica sociale.

Stesso solco, sebbene tracciato in maniera drasticamente diversa, già scavato dai goliardi ottocento anni prima, quelli di quel “certo malessere” di cui parlavamo poco fa. Poemi, racconti, opere satiriche, i nostri erano perlopiù studentelli, onnivori e iperproduttivi in ambito letterario, allo scopo principe di poter esprimere le dovute critiche nei confronti di una società e di un’istituzione religiosa che al tempo non rappresentavano certo sinonimo di integrità (poi le cose sono peggiorate, n.d.r.). Talvolta estreme, spesso dissolute, certamente emarginate, questa sorta di  protobands emergenti hanno scorrazzato in lungo e in largo nelle pieghe della letteratura “classica” a suon di poemi e provocazioni, divenendone una forza oscura in grado di sollevare il dubbio.

Sulla falsariga dei nostri antichi eroi di giornata, pur temendo il near miss in materia di lesa maestà, andrei avanti di un paio di secoli, citando il potenziale “novello goliardo” Giovanni Boccaccio, notoriamente autore di un masterwork a sfondo ironico come il Decameron. Siamo quindi giunti alla metà del secolo XIV, e si persiste nel dire, tramite le sue parole: “[…] noi in taluni luoghi vediamo i grandi scellerati e i malfattori diventare dei potenti e dei ricchi, mentre gli onesti e i virtuosi restano poveri e ignorati”.

Girando lo sguardo… Non lo vogliamo nominare Petrarca?

Forse annoverabile nella corrispondente categoria emo dell’epoca, grazie alla sua vena squisitamente e profondamente storico-letteraria ci appropinquiamo lesti all’Umanesimo, di cui è considerato uno dei fondatori. “La mia vita è una grande ombra, una lacrima sull’oceano del tempo”. La delusione nel realizzare quanto impotenti siamo di fronte alle immutabili leggi, alla caducità umana, alle ingiustizie, alla morte, all’infinito.

…Eroe dell’epopea, ch’io un po’ cantavo, un po’ declamavo, era un vaso etrusco personificato, il quale entrava nell’Ussero e spaccava le tazze, i gotti, e simili buggeratelle moderne!

Siamo intanto arrivati al secolo XIX e così declamava il Carducci in uno dei movimentati happy hour del Caffè Pisano. Vien da abbinarlo inevitabilmente ad un Benigni di buona annata. (Ora che te l’ho detto non riuscirai più a subvocalizzare la stessa frase con stessa voce interiore di prima. Lo sapevo). Altri due goliardi.

Dunque, abbiamo appena assistito ad una breve, carnevalesca sfilata di giullari buontemponi, perditempo, vendifumo scansafatiche, artefici o quantomeno complici in verità di un lungo processo evolutivo finalmente portato alla ribalta con la nascita, nei secoli, dei movimenti socioculturali citati nell’introduzione. Chiuderei quasi qui l’intervento, chiosando “vostro onore, ho terminato”. Ma forse è meglio spiegarsi ancora un pochino – cooperazione e coordinamento, per così dire.

Si sa, a noi in questa redazione piace perlopiù l’antitesi. Di come raccontare una storia, …magari la Sicurezza sul lavoro, in maniera leggera e ad impatto. In modo non necessariamente convenzionale, ma non sicuramente trascurando la sostanza, nella speranza di lasciare un segno, o almeno un dubbio.

Tuttavia, è ben noto che la tesi è fondamentale, e nel nostro caso è: la Cultura della Sicurezza senza dubbio vive la propria massima espressione nella condivisione continuativa di modi di fare e di pensare all’interno di un’organizzazione.

Il risultato della somma degli addendi, lo conosciamo: la soluzione è la sintesi, quindi la cooperazione dei modelli tesi ed antitesi e la declinazione degli stessi a seconda delle necessità (se lo negheremo, saremo consapevoli in cuor nostro di aver mentito).

Però. L’implacabile, ipertrofico braccio della legge e dell’abitudine e della procedura condivisa e ripetuta già agisce e fiero brandisce il suo scudiscio nelle lodevoli realtà laddove il fulcro apicale della dirigenza abbia a cuore la sicurezza sul lavoro. Lo stesso cuore dove sapevamo di aver mentito poco fa. Il malconcio flagellum impugnato da chi invece suppone di non avere di questi problemi, deve invece ritorcersi, colpire ed affondare. Le regole già esistono, l’onestà non necessariamente. E bisogna dirglielo. Chi non vuole ascoltare la solita minestra, non l’ascolterà, chi non vuole capire non capirà, chi non vuole agire in favore della salute e della sicurezza dei lavoratori non lo farà. Non lo farà se non gli si dirà nulla, o se non incapperà in sanzioni (utili alle casse, poco al resto), non lo farà se gli si ripeterà asetticamente che esistono delle leggi, non lo farà finché gli si continueranno a sciorinare quelle stesse leggi – che non comprende, non lo farà finché non capirà che è importante, non lo farà finché non arriverà quel giorno in cui dovrà spiegare i perché e i come al partner e ai figli di quello là che ieri è morto in cantiere.

Come eliminare quel finché, io nelle Sacre Tavole non l’ho mica trovato. Tu sai indicarmelo?

Con buona pace di Hegel e della sua illustre dialettica: dallo stadio è tutto, a voi studio.

* La punteggiatura [? un poco sghemba] come timido tributo al maestro Edoardo Sanguineti, esempio /come molti altri nel periodo/ di innovativa e concreta libertà espressiva, al di là di ogni credo ed appartenenza.

P.S. Come sommo omaggio invece alla natura mutevole delle vicende di ognuno di noi, in ogni ambito delle nostre transitorie esistenze, natura goliardicamente decretata dalla “fortuna”, di seguito il testo di “O Fortuna”. Per chi non ne avesse ancora avuto modo, mi permetto di consigliarne l’emozionante lettura unitamente all’ascolto del brano di Karl Orff sotto linkato.

 

“O Fortuna”, di Carl Orff, tratta dalla “Carmina Burana”; testi dei Clerici Vacantes, tratti dal “Codex Buranus”.

Dirige l’orchestra il maestro … Herbert von Karajan!

 

“O fortuna

velut luna

statu variabilis

semper crescis

aut decrescis

vita detestabilis

nunc obdurat

et tunc curat

ludo mentis aciem

egestatem

potestatem

dissolvit ut glaciem.

 Sors inmanis

et inanis

rota tu volubilis

status malus

vana salus

semper dissolubilis

obumbrata

et velata

mihi quoque niteris;

 nunc per ludum

dorsum nudum

fero tui sceleris.

 Sors salutis

et virtutis

mihi nunc contraria

est affectus

et defectus

semper in angaria.

 Haec in hora

sine mora

corde pulsum tangite;

 quod per sortem

sternit fortem

mecum omnes plangite”!

 

 

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