“Non sono mica un c..zo di influencer”. Questa è la prima reazione appena il suo manager gli fa la richiesta che a sua volta gli è pervenuta da qualcun altro.
Si lasciano con la promessa che ci penserà.
Un’occhiata ai social, come fa ogni tanto. Tanti messaggi, tanti commenti. Non si occupa direttamente lui di rispondere e quasi mai legge cosa scrivono le persone. Ma questa volta prova ad approfondire.
Sembra siano in tanti a vedere in lui un modello, un riferimento. Sembra che tanti ragazzi guardino ciò che lui dice e fa e che si comportino di conseguenza.
“Il mio fratellino gioca come te e ha voluto prendere il numero 11”; “Se vieni da queste parti puoi contattarmi? Cosa non darei per poter fare due palleggi con te”; “Sei il mio mito”; “Ti seguirò sempre perché sei tu il numero uno!”
Questo è il tenore della maggior parte dei commenti. Commenti di persone che vedono in lui un punto di riferimento.
Forse non è un influencer, ma forse comunque è davvero in grado di influenzare gli altri.
È ora di andare. La borsa è pronta, il cellulare è carico e l’auto lo aspetta nel box. Ama percorrere quei chilometri che lo separano dal campo di allenamento ascoltando del buon rock.
Del resto non potrebbe essere altrimenti: lui non è un tipo da trap o da quelle schifezze, lui è un duro e il rock lo descrive benissimo.
Prima di partire seleziona un artista. È titubante, pensa a varie possibilità, ma poi gli viene in mente che è tanto che non ascolta i Bon Jovi. E allora Bon Jovi sia.
Si apre la porta del box e nel frattempo parte la musica.
Ma non parte la batteria di “Livin’ on a prayer” e nemmeno la chitarra di “Blaze of glory”.
È una canzone strana. Inizia con degli avvisi in inglese, riguardo al fatto di “restare a casa”.
È una canzone che non ha mai sentito e quindi la ascolta con maggiore attenzione.
Scorge il titolo sul cruscotto della sua auto: “Do what you can”.
L’inizio non è super coinvolgente e presto si distrae. Al semaforo dà un’occhiata all’auto accanto, su cui ci sono due ragazzi, che lo riconosco e iniziano a urlare il suo nome. Per fortuna il semaforo verde scatta e lui può togliersi da quella situazione. Non ha voglia di dare retta a nessuno. È assorto tra i suoi pensieri.
“Non sono mica un c..zo di influencer”. Continua a ronzargli in testa questa frase.
Capita che certe frasi ti restino in testa. Come sicuramente gli avverrà con questa canzone che continua a ripetere ossessivamente “do what you can”.
Per lui è un mantra. Se lo ripete sempre e lo ripete ai suoi compagni: dovete fare tutto ciò che potete, sempre.
E allora, mentre le case intorno sono sempre meno e gli alberi appaiono spogli, prova ad ascoltare con più attenzione questa canzone:
“When you can’t do what you do |
Traduzione, per chi avesse difficoltà con l’inglese:
“Quando non puoi fare quello che fai, fai quello che puoi
|
Niente male. Anche questa volta il buon John ci ha preso. Si ritrova alla grande in questa canzone. Si è da poco ripreso in pieno da quella scocciatura del virus e ha già ripreso a giocare alla grande. Lui non è uno che si spezza. Che lo sappiano tutti.
La canzone prosegue e lui capisce che si tratta evidentemente di una canzone relativa a questo periodo e a ciò che stiamo vivendo con questo fottuto virus che non molla.
La canzone si chiude con l’esortazione, ancora una volta a fare ciò che si può.
Ed è allora che si rende conto che lui può fare qualcosa.
Chiama il suo manager e gli dice: “Ok, lo farò, ma a modo mio. E comunque non sono un c..zo di influencer”.
Questa storia è ispirata a un fatto realmente accaduto.
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1 commento
Grande Paolo… anche tu non sei un c..zo di influencer ma il tuo articolo colpisce alla grande. Facciamo quello che possiamo! #takecare #prenditicura