Emme: 48, Interprete, Traduttrice, Ipovedente ‘84, Poetessa, Porta-caffè.
Seconda Parte
Ciao a tutti, sono sempre il vostro Michele, Poeta e Payroll Specialist di Verona. Vi ricordate di Emme e della sua storia sulla realtà lavorativa? Una storia di difficoltà nei luoghi di lavoro, di mancanza di comunicazione con i capi. La sua volontà di non apparire su Linkedin, ma anche il racconto delle sue indiscusse capacità con le lingue e della voglia di dimostrare che la disabilità non è un limite ma un’occasione di crescita per chi la incontra e condivide.
Ecco, la storia di Emme riparte, adesso… buon viaggio a tutti!
Michele: Ciao Emme, come stai? È passato un po’ di tempo dal nostro primo incontro, stavamo parlando della tua esperienza diretta con un tema molto importante: mobbing e demansionamento. Quali altri episodi ti va di raccontarci?
Emme: Ciao Michele. Caldo a parte, direi che va bene, sempre impegnata su vari fronti. Ma torniamo agli episodi che ti stavo raccontando l’altra volta: successivamente all’episodio del caffè e della collega che era andata fuori di testa perché mi ero rifiutata di portare il vassoio, c’è stato l’episodio della scrivania:
un giorno arriva l’addetto informatico e mi dice smantellandomi il PC senza preavviso, “c’è bisogno che tu vada in reception a dare supporto”. Inizialmente è stato così, poi mi sono ritrovata da sola in reception. Senza una spiegazione e senza un vero motivo. Sono stata male un giorno intero. Tendenzialmente ho un carattere che assorbe, ma quando esplodo, esplodo! Da sempre avevo dato la mia piena disponibilità e non pensavo di essere ripagata con un demansionamento.
Poi, ad esempio, ci sono i pagellini: valutazioni periodiche in base ai quali se raggiungi degli obiettivi predefiniti, percepisci dei premi. In vent’anni di lavoro non ho mai parlato con un Responsabile dei miei pagellini, non sono mai stati compilati, mentre per altre figure sono sempre stati monitorati e utilizzati. La poca trasparenza non aiuta, no?!
Un altro strumento inserito in Azienda e mai utilizzato è il Whistleblowing: una sorta di segnalazioni anonime che i dipendenti possono fare per favorire suggerimenti organizzativi o criticità da migliorare. Anche lì fuffa e robe di facciata.
La situazione più buffa alla quale ho assistito è la leggenda del fax perduto, mi spiego: la nostra casa madre è tedesca, circa otto anni fa è arrivato in ufficio in Germania un fax anonimo (in seguito a molte cause legali intentate da ex dipendenti) che lamentava il trattamento disumano, le disparità nel lavoro sotto vari punti di vista; tutto a causa di un nuovo Responsabile finanziario e del personale, il quale in molte occasioni arrivava anche alle vessazioni. É successo di tutto quella volta, addirittura la caccia al colpevole tramite agenti investigativi. Un circo.
Oggi mi ritrovo senza nemmeno più un armadio dove mettere le mie cose. In un certo senso, la disabilità mi ha protetto rispetto ad altre persone, più di tanto non potevano farmi.
Michele: Quanto e come la disabilità ha influito nella tua vita lavorativa? Hai trovato più diffidenza negli altri o apertura?
Emme: Non è tanto la vita professionale che ne risente, ma la vita naturale. La vita vera e propria con colleghi, capi, clienti. Almeno nella mia esperienza ho avvertito questo. Per esempio, nel momento in cui mi dici: “ti senti pronta per questa posizione?”, ecco io lì al di là delle mie competenze mi faccio dei problemi. Forse è anche a causa di questo se non ho avuto delle promozioni vere e proprie, forse non mi sono fatta percepire sicura.
Ti faccio un altro esempio: una volta mi hanno redarguito perché perdevo la memoria a breve termine, così di botto, dopo dieci minuti. Una conseguenza della gravidanza comune a tante. Mi hanno chiesto immediatamente: “cosa succede?”. Sul momento, mi sono spaventata e ho fatto anche la risonanza magnetica, ma nulla. Però ho imparato la lezione (anche se non ne avevo bisogno) e da lì ho iniziato a prendere più appunti.
Ma per il resto nessuno si è mai accorto nel concreto dei miei deficit di performance. C’è – volutamente – mancanza di una posizione netta nei Responsabili ma non c’è diffidenza coi colleghi. Ci viviamo tutti i giorni. Loro mi chiedono quali evidenziatore usare, perché non distinguo il giallo dal bianco. Lasciano chiusi i cassetti perché non vi inciampi. Con la dirigenza invece c’è una mancanza di volontà nella gestione del rapporto: soprattutto con chi ha una disabilità che non si vede, si ha più difficoltà a lasciare passare il messaggio senza frustrazione. Il tuo problema non si vede e finché non ti lamenti lavori come gli altri. Rendere il posto di lavoro un luogo virtuoso non è un obiettivo di un anno, ci vuole molto di più.
Per esempio: una mia collega ha la sclerosi multipla, ogni tanto sviene. Non si sa come gestire nel concreto questi casi, non c’è informazione. Non la si cerca. Poi, c’è molta difficoltà nel parlarne liberamente. Diciamo che il problema è anche interpersonale perché (per come sono fatta io) non vado a rompere le scatole a tutti e probabilmente mi pongo dei freni, ma perché mi accorgo anche che non c’è un interesse vero a gestire le risorse. Tutte, senza distinzioni.
Durante la pandemia, tutto è stato penalizzante, arrivando anche al mobbing vero e proprio. Sostanzialmente, da Marzo 2020 a Maggio 2020 (Lockdown) tranne le persone che lavoravano online, noi non potevamo andare in smart a causa della mansione, ma dovevamo rimanere in presenza. Ho dovuto mettermi in congedo malattia covid ed ero completamente nullafacente, io che sono una forza della natura ho dovuto accettare due mesi di stop forzato e senza prospettiva. A Settembre sono tornata in ufficio, avevano messo del plexiglas con la fessurina per prendere i documenti, le temperature dei clienti, ecc. e io, che soffro anche di una lesione ai bronchi, ero maggiormente a rischio. In quei momenti non mi sono sentita per nulla in un ambiente protetto, dovevo misurare la temperatura alle persone e non essendoci ancora un vaccino di protezione dal Covid ho dovuto rischiare per forza. La mia collega, nella postazione accanto, quando stava al telefono o per parlare con gli altri, rimaneva senza mascherina. Zero sensibilità insomma. L’ho fatto presente più volte e alla fine è stato deciso che dalle 13:00 alle 15:00, io me ne sarei stata dietro alla reception a guardare il muro in co-presenza con la collega, questo per un mese e mezzo. Così, essendo un’appassionata di scrittura e poesie mi portavo la biografia della Merini o le poesie di Mariangela Gualtieri da leggere. Ovviamente quando inizi a rimanere a casa per varie ragioni te le fanno pagare con gli interessi.
Michele: Cosa manca nella mentalità lavorativa di oggi, per cambiare veramente marcia?
Emme: Secondo me la chiave di tutto è: “ognuno fa quello che può ed è importante lo stesso”. Ti faccio un esempio di un nostro cliente estero: l’ESA Agenzia Spaziale Europea in Olanda. Alle 17:00 chiudono baracca e burattini, se chiami dopo e non c’è nessuno non è un problema. Sei tu che non dovresti chiamare fuori dagli orari prestabiliti. Questo non ha a che fare solo con la disabilità, fino a dove sei in grado di fare sei comunque d’aiuto e di conseguenza si sentono tutti più inclusi. Tu non sei bravo solo se fai tanto, sei bravo se fai bene. Se me lo chiedi in emergenza, il gap è tuo che sei arrivato in ritardo. Noi invece vediamo tutto in urgenza, non sappiamo stabilire delle priorità e una tabella di marcia.
Altro esempio: un mio amico Ingegnere che per 8 anni ha lavorato in Italia, da noi dopo tutto quel tempo è diventato un PM senza esperienza. Si è trasferito in Inghilterra e in 6 mesi si occupava già delle stazioni di terra, mi ha detto: “non l’avevo mai fatto e ho imparato tutto”. Qui invece nella maggior parte dei casi fai il capro espiatorio, sistemi i casini e non impari nulla nella realtà. Per non parlare del lato retributivo. Dobbiamo imparare a capire che non è quanto ma come lo fai.
Michele: E adesso Emme, stai facendo qualcosa per il tuo presente?
Emme: Certo, sto studiando per l’abilitazione a scuola, nel frattempo mando CV da anni. Ho provato a seguire un consiglio di un amico molto più digital di me, ma non utilizzo molto le piattaforme di oggi e quindi non mi considerano. Sono consapevole che nel pubblico prenderei di meno, ma sono disposta ad un sacrificio economico pur di ritrovarmi. Insomma, sto puntando ad uscire, forse dovrei provare con le conoscenze. Ah, ho imparato lo spagnolo da autodidatta e poi c’è la Poesia che mi riempie, oltre a mio figlio Elle.
Michele: A proposito di Poesia, ti andrebbe di condividere qualche tuo verso per concludere questa nostra intervista?
Non mi resta che ringraziarti infinitamente per il tempo e la disponibilità. Ciao Emme.
“C’è mica un avvocato del lavoro
in sala?
Uno che mi possa aiutare
se di Covid non mi voglio ammalare
sono a contatto col pubblico
ma la devo pagare
questa bronchite asmatica
vuole lavorare
smart o no ma con dignità
non posso imitare
la loro omertà
non portano le mascherine
ti bevono in faccia il caffè
ma che fa
Le maschere ledono la libertà
del mors tua vita mea questa è la verità
Per cui isolatemi pure ora
ne sono responsabile
del demansionamento
la categoria fragile
dell’isolamento senza pc portatile
E se tutelare significa lasciarmi a guardare il muro
Io su quel muro coltivo già le fragole”
Visita l’intera rubrica Safety shake!
SCORRI LA PAGINA E LASCIA UN COMMENTO.