Ospite di Stefano Pancari oggi a B-SIDE: Roberto Recchioni, fumettista, autore e illustratore.
Roberto, quando hai iniziato il tuo lavoro nel mondo del fumetto?
Ho cominciato a 20 anni. Ho lasciato la facoltà di architettura per iniziare questo lavoro, prima come disegnatore, poi come sceneggiatore e infine come autore completo. Sono passati 27 anni!
Qual è la forza del fumetto?
Il fumetto è un linguaggio molto povero, che elimina il problema di effetti speciali e costi di produzione. Bastano un foglio e una matita e stai raccontando una storia. Neanche il bel disegno è strettamente propedeutico alla narrazione fumettistica: bisogna innanzitutto saper raccontare.
Cosa spinge le persone al racconto?
Alcuni di noi hanno la spinta al raccontare sin da quando stavamo nelle caverne attorno al fuoco! Ci vuole anche una certa arroganza, perché racconti per un pubblico, non a te stesso. Le storie ci permettono di vivere infinite vite, di essere qualcosa al di fuori di noi, in cui ci riconosciamo o che aspiriamo ad essere.
Il periodo storico che abbiamo vissuto e stiamo vivendo che impatto avrà sul fumetto e sulla narrazione in generale?
Il narratore diventa una lente, un filtro per la realtà. L’immediato post di ogni evento traumatico ha narrazioni dirette, diari, testimonianze. Viene raccontato senza metafore.
Diventa più interessante vedere come la crisi si deposita sul fondo degli artisti. Ad esempio se pensiamo all’11 settembre, quel tipo di shock si è depositato in un’eco di narrazioni catastrofistiche.
Che rapporto hanno i tuoi personaggi con il mondo della sicurezza?
I miei personaggi tendenzialmente sono delle figure tossiche, influenzate da una sensibilità esposta a dei role models palesemente tossici. Raccontando il comportamento negativo di un personaggio lo mettiamo in evidenza.
Anche nel rock le figure retoriche classiche sono figure autodistruttive, ma se usiamo una lente critica sui role models che ci hanno sempre venduto, magari ci accorgiamo che in assenza di certi comportamenti certi eroi del rock che ci affascinano, oggi forse sarebbero ancora vivi a produrre musica. Una retorica tipica è “La droga aiutava i rocker a fare quella musica”. Forse sarebbe meglio dire che la droga ci ha impedito di sentire la musica che avrebbero potuto fare!
Articolo e postproduzione video di Graziano Ventroni
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