Ospite di Stefano Pancari oggi a B-SIDE: Antonello Piroso, giornalista, autore, conduttore televisivo e radiofonico.
Antonello, noi di ROCK’N’SAFE seguiamo il programma “Rock & Talk” su Virgin Radio, che conduci insieme all’amico Massimo Cotto e Dr. Feelgood. Pochi giorni fa abbiamo sentito il tuo intervento sulla vicenda dei lavoratori delle RSA sospesi da lavoro perché si rifiutano di fare il vaccino antiCovid. Ne vogliamo parlare insieme?
Certamente. Nel programma ho il ruolo del Cavaliere Nero, di ispirazione “Proiettiana“. Faccio la parte di quello… che non va troppo disturbato, diciamo così! Tutto in chiave ironica, beninteso! A volte però ci sono delle notizie che realmente mi colpiscono, mi indignano, come nel caso della vicenda a cui fate riferimento. La notizia in questione è quella dei lavoratori che hanno fatto ricorso al provvedimento del loro datore di lavoro che li ha mandati in ferie forzate. Il giudice ha rifiutato il ricorso, perché è vero che non c’è obbligo vaccinale, ma ci sono altre norme da rispettare.
L’Italia è un paese ricco di norme e leggi, a volte è difficile orientarsi. L’argomento del vaccino poi suscita molte polemiche da diverso tempo ormai.
In Italia abbiamo qualcosa come 150.000 norme. È vero che il vaccino antiCovid non è un trattamento sanitario obbligatorio. Non lo dico io, ma il presidente dell’Ordine Nazionale dei Medici. Il punto è che al di là delle norme c’è una questione di logica, di buonsenso. Se per mesi abbiamo ripetuto che gli anziani sono la categoria più fragile, come si può non pensare che il personale sanitario delle RSA debba essere vaccinato? Il fabbro per lavorare deve fare l’antitetanica, ad esempio!
Ci sono norme a cui il datore di lavoro deve sottostare a prescindere…
Esattamente. Il datore di lavoro è obbligato a far rispettare le norme di precauzione e sicurezza ai dipendenti. Ma poi… tutti noi abbiamo subito e subiamo delle limitazioni ancora oggi. Quindi dove sta il problema in questo caso? Ripeto, è una questione di buonsenso innanzitutto.
Credi che alla base di queste vicende ci sia un fatto culturale?
Si dice sempre che i Paesi nordici, scandinavi, abbiano affrontato la pandemia diversamente, che non abbiano fatto lockdown. Ma da quelle parti hanno un approccio diverso dai Paesi latini. Un certo distanziamento sociale nei luoghi pubblici, ad esempio, ce l’hanno di default. Noi siamo abituati che se ci si rivolge un invito possiamo accettarlo oppure no. Ci serve l’obbligo di legge, altrimenti non succede niente.
Ci sono tanti esempi di questo tipo nel passato…
Pensiamo alle cinture di sicurezza: abbiamo dovuto prevedere le sanzioni. Col tempo abbiamo capito che la cintura di sicurezza ci salva la vita. Stessa cosa per il fumo nei locali pubblici, oppure per il casco obbligatorio. Le lobby pensano sempre che provvedimenti di questo tipo restringano il business, che la gente smetta di andare al ristorante perché non può fumare o che smetta di comprare scooter e moto perché deve mettere il casco, ma non è così.
Sui social poi è facile fare polemica!
I social sono una cosa bellissima, ma sono come le reti a strascico in mare: tiri su di tutto! Trovi chi ti dice che qualcuno è morto per colpa delle cinture di sicurezza! Ma è un caso su un milione o chissà quanti. Poi però vedi persone che guidano col telefono in mano come un trancio di pizza o col cellulare incastrato sotto il casco. Che mestiere fate per dover essere sempre connessi?! Sono nato nel 1960, quindi è facile che mi si dica che sono vecchio, un boomer, che critico il progresso tecnologico. Non è così: liberi i giovani di fare gli stessi errori che abbiamo fatto noi, cercando però di sopravvivere!
Articolo e postproduzione video di Graziano Ventroni
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