Perché nel 2021 continuiamo a leggere di persone morte cadendo da tetti o da impalcature, oppure asfissiate mentre operano in ambienti angusti o impiegando macchinari?
Domande che ci poniamo immagino in tanti soprattutto dopo i tristi eventi occorsi in questi mesi.
Nonostante leggi e normative, il comportamento umano di chi opera, dovrebbe controllare o anche decidere diventa triste protagonista (non sempre sulle testate giornalistiche, evidentemente attratte più da altri argomenti trend topic).
Qualche giorno fa mi sono imbattuto in un post interessantissimo su Linkedln della Dott.ssa Eleonora Avi, psicologa dell’aviazione, Head of HR Airbus Helicopters Italia & Helicopters Italia, capace di dare una lettura e mostrare al lettore la più classica delle cassette attrezzi già disponibile e studiata da anni nel settore aeronautico.
Lo Human Factor.
Disciplina della sicurezza sul volo, da decenni studia i comportamenti umani e tutti gli aspetti che influiscono sulle performances per evitare errori cercando di azzerarli e portare tutto più vicino allo 0, unico numero che viene considerato valido da parte di chi pilota o lavora in manutenzione aeronautica creando consapevolezza.
Secondo la definizione formulata dall’ICAO (International Civil Aviation Organization):
“I fattori umani hanno come oggetto di studio le persone, mentre espletano le loro mansioni, il loro inserimento nell’ambiente di lavoro inteso in senso fisico ed interpersonale, il loro rapportarsi agli strumenti di lavoro ed alle procedure cui attenersi. L’obiettivo di tale ricerca è il perseguire sicurezza ed efficienza”
Uno studio che identifica non solo quindi i comportamenti ma tutti gli elementi che partecipano tra cui management, team, contesto ambientale, sociale ed economico.
Una filosofia in cui entrambi abbiamo concordato che se applicata e migrata in egual maniera nei contesti lavorativi potrebbe portare grossi benefici in termini di efficacia della Safety, abbattendo gli infortuni.
Il volo capace di influenzare la società, ma in fondo non sarebbe la prima volta.
Era il 1986 e nelle sale cinematografiche usciva TopGun.
Il Tenente Pilota della Marina Pete Mitchell, “Maverick”, all’anagrafe Tom Cruise, rappresenta ciò che oggi la società attuale chiamerebbe influencer. Innegabile infatti è l’impatto che il suo personaggio abbia avuto in tante generazioni, basti pensare ai soli giubbotti di pelle con le patch cucite ed ai Ray Ban venduti da quegli anni in poi.
Talmente è stato forte che Cruise ed il produttore Jerry Bruckheimer hanno ricevuto pochi anni fa un’altissima onorificenza dalla Marina Americana, il titolo di Aviatore Onorario, per il “profondo impatto positivo” avuto sui reclutamenti nel corso dei decenni, grazie al classico del cinema hollywoodiano.
Un titolo che la US Navy non elargisce a chiunque, nel mondo dello spettacolo sono stati solo in tre, ossia i due menzionati e Bob Hope per impegno mostrato nell’alleviare il morale durante la Seconda Guerra Mondiale.
Chi non avrebbe voluto essere lui o essere parte integrante di quel mondo.
Kellie Mc Gyllis era “Charlie”, psicologa della scuola di volo, metafora e rappresentazione dello Human Factor. Lei è colei che richiama Maverick all’ordine, al rispetto delle regole, analizza e verifica la sua idoneità al volo dopo l’incidente dove il navigatore e grande amico Goose, l’attore Antonhy Edwards, muore.
Ricordo ancora le discussioni su quella scena dopo averlo visto per la 40ima volta con i colleghi: chi dava la colpa al finestrino evidentemente difettoso, chi alla manovra azzardata del pilota. Manco fossimo all’epoca dei responsabili dell’investigazione, anche se secondo me oggi continueremmo tutti a pensarla nella stessa maniera.
Comunque sia, ringrazio Maverick per avermi appassionato ed influenzato nelle mie scelte da ragazzo permettendomi di entrare in un mondo dove sicurezza significa garantire la sicurezza degli equipaggi di volo, di terra e dei terzi sorvolati, e fatto più importante essere safe significa fare bene attraverso lo studio del fattore umano perché un evento non accada o non riavvenga mai più in un processo di continuo miglioramento soprattutto delle risorse umane.
Dimenticavo: colonna sonora da brividi, totalmente nata dal genio di Giorgio Moroder, indimenticabile sia con il tema dominante dove il riff della chitarra accompagna il decollo degli F-14, sia nella canzone leggendaria “Take my breath away” cantata dai Berlin, che vi lascio ascoltare immaginando di decollare da una portaerei.
Ringrazio sentitamente la Dott.ssa Eleonora Avi, nei confronti della quale nutro forte stima ritenendola esperta di grande caratura, per l’interessante spunto di riflessione che mi ha permesso di scrivere questo modesto punto di vista spero apprezzato.
Fonti articolo: Wikipedia e sito ENAC.
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