Quante testimonianze, quante meritate dediche. Eppure, è stato “solo” un inventore e questa categoria raramente rientra nella memoria collettiva, soprattutto nei non pochi casi in cui non finisca sui banchi di scuola. Ma lui era uno di quelli magici, di quelli annoverabili tra gli influenti, non solo a livello esclusivamente personale per gli incalliti aficionados delle sette note, ma per una generazione intera: aveva creato la musicassetta. Nessuno quanto lui avrebbe mai potuto vestire in maniera così skinny la già di per sé limitante casacca di “R&D”.
La dipartita di Lou Ottens, purtroppo recente attualità, ha fatto riemergere antichi ricordi di polverosi sapori, roteanti memorie, Bic incandescenti e ottobrine contestazioni liceali, più o meno autorizzate da una dirigenza scolastica a quei tempi imprevedibilmente accomodante, musicate dagli onnipresenti walkman. Par quasi banale rievocare a questo punto gli ormai mitologici anni ’80, figurarsi gli anni ’70. Il remoto 1963 risulterebbe poi out of the smallest circle of trust mai concepito da ogni divina grazia. Cionondimeno (“nonetheless” suonerebbe più elegante, ma guai agli inglesismi) è proprio quello l’anno della svolta: il pluridecennale impero del vinile viene clamorosamente reso vacillante dalla neonata industria della musicassetta, grazie al luminoso lavoro di ricerca del team capitanato dall’ingegnere olandese. Sempre di contemporaneo conteggio è il quinquagenario ammontare del supporto magnetico più tascabile di sempre, magnificato e quantificato in suppergiù un miliardo di pezzi prodotti. Se la spannometria non ci inganna (certamente un po’ sì), ognuno di tutti noi melodiosi esseri umani ha posseduto, ma soprattutto amato e consumato, almeno una dozzina di quegli oggetti. Di quante altre invenzioni possiamo dire lo stesso? A quante altre persone, conseguentemente, possiamo attribuirne la paternità? Poche, davvero poche. Perché i trascinatori, i leader, non sono così tanti. Talvolta bisogna crearseli, poi amarli, un po’ spronarli, sicuramente scovarli tra le innumerevoli quantità di ottimi lavoratori in possesso di qualità, capacità, senso del dovere. E infine, supportarli. I “responsabili” sono così, un po’ variopinti, alcuni brillanti e magari altalenanti, altri penetranti e sfuggenti – comunque, onnipresenti. O almeno – a me piace immaginarli così.
Onnipresenti, devono, perché esiste una mission. Ormai chiamarla così pare faccia vecchiotto, scorretto e vagamente classista, in quanto linguisticamente accostabile all’”alta direzione”, mentre purpose risulterebbe più aggregante ed elevato (credo che ne riparleremo: c’è di che filosofeggiare, là dentro). Dicevamo, la mission, che resta sempre e inderogabilmente legata all’infondere passione, esigere qualità e garantire sicurezza.
Sicurezza, eh già, proprio lei, la nostra Dea, rubando lo pseudonimo alla bergamasca pallonara. Qualcuno sicuramente avrà provato il piacere di sentirsi punzecchiare “hei, ma il tuo team produce o si sono tutti imbizzarriti”?, – come se i lavoratori fossero altri. Altre volte invece, quando ci siamo resi conto, onestamente, di avere qualche lacuna rispetto a emergenti e… si può dire? Che ore sono? Siamo in fascia protetta? … cazzutissime nuove leve, specializzate e laureate in materie sempre più specifiche, cosa è successo? È crollato il mondo? Ci siamo sentiti come cariatidi, la cui garanzia pensionistica fosse caduta improvvisamente sotto scacco? Ma certo che no, si persegue la mission. I cui confini con purpose e vision diventano sempre più sottili: infondere passione, esigere qualità e garantire sicurezza. Ma non divaghiamo. La distrazione e l’inefficienza (l’infortunio!) sono dietro l’angolo.
…non certo per Lou, che, ancora affamato di nuovi sistemi comunicativi, cosa che andava di pari passo con la sua dedizione all’azienda (per non far nomi e cognomi – l’olandese Philips), collabora in maniera determinante quale direttore tecnico alle fasi di sviluppo e realizzazione del compact disc, il conclusivo, universale supporto musicale, prima dell’era digitale che incoronerà gli algoritmi lossy. Il CD resterà l’ultimo policarbonato frammento fisico di memoria della generazione mediana di questi ultimi decenni, violentati da pandemie, crisi di ogni genere ripetute con sinistra regolarità, fumatori che tossiscono, baristi piegati dalla birra, e… (continua in “Industrial Disease”, ma di lei abbiamo già parlato). Risulta abbastanza evidente la necessità di leader, dopo questa rivoluzione. Lou ci ha lasciato una grande eredità. Come dedito lavoratore, come innovatore. Perché è di persone come lui che abbiamo tremendamente bisogno. I leader quasi in punta di piedi, che dosano impeto e profondono insegnamento. Che agiscono per intuito, ma modellandolo nella realtà in cui operano. Che vanno in pensione lasciando i seguenti regali: un libro di idee al gruppo di lavoro con cui hanno collaborato e che loro succederà; il suggerimento di intensificare gli studi legati al perfezionamento dei processi logistici, come via di sviluppo preferenziale per l’azienda in quel periodo (consiglio naturalmente rivelatosi poi positivamente decisivo); dulcis in fundo, la convinta proposta di bilanciare le assunzioni tra uomini e donne. Correva il giugno del 1986; a settembre dello stesso anno, Paul McCartney dava alle stampe il suo nuovo disco solista, il cui titolo recitava, guarda un po’… “Press To Play”.
“Alla fine della fiera”, il 1979 era stato l’anno del compact disc. Iniziava l’era digitale, vedeva il tramonto quella dei solchi e dei nastri magnetici. Momentaneamente, of course. Perché chi comunica bene…
Un dato – ultima affluenza al “Mega Record fair” (la più grande expo europea della musica in supporto fisico, in svolgimento annualmente ad Utrecht): 31.000 persone. L’abbiamo appena detto: chi comunica bene… comunica per sempre!
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