Nel suo classico testo del 1949 “L’eroe dai mille volti”, Joseph Campbell mostra come molti dei principali miti del mondo siano in realtà un solo mito (il monomito, appunto), e questo mito riguarda il viaggio di un eroe. Dagli antichi Egizi fino a Luke Skywalker, passando naturalmente per Ulisse e Dante, noi umani continuiamo in fondo a raccontarci sempre la stessa avventura.
Il viaggio dell’eroe inizia in genere con una situazione di limitata consapevolezza e di generica infelicità. Segue la partenza del protagonista, spesso riluttante e in genere con l’intervento di un mentore che lo consiglia, e il viaggio vero e proprio, che è sempre un viaggio iniziatico, fatto di prove, mostri, duelli, sfide, tradimenti, talvolta persino la morte o la discesa agli inferi dell’eroe. C’è infine qualche forma di ritorno a casa, con l’eroe che ha ormai raggiunto la piena consapevolezza di sé ed è in grado di portare ordine nel suo vecchio mondo, che sarà da adesso più felice e al sicuro (ti suggerisce qualcosa, Safety Rockstar?).
Parecchi anni prima di Campbell, l’antropologo russo Vladimir Propp, nel suo testo “Morfologia della fiaba” del 1929, aveva avanzato l’idea che tutte le fiabe del mondo in fondo si assomiglino. Si tratta di mescolare una manciata di elementi presi a piacere fra quelli che Propp stesso aveva individuato: allontanamento, divieto, infrazione, tranello, mancanza, partenza, prove da superare, oggetti magici, lotte, vittoria, ritorno, punizione dei cattivi, lieto fine. Ne aveva ricavato addirittura un mazzo di carte. Basta sceglierne alcune, anche a caso, ed ogni Safety Rockstar si può costruire la sua personalissima fiaba, purché alla fine vivano tutti felici e contenti. E sicuri, naturalmente.
C’è infine Chris Vogler. Chris Vogler, mitico sceneggiatore di Hollywood (avete presente Il Re Leone?), sostiene che i film d’avventura, anche loro in fondo raccontano tutti la stessa storia. Nel suo “The Writer’s Journey”, sostiene infatti che per fare un buon film d’avventura servono pochi personaggi: un eroe, un imbroglione, un mentore, un antagonista, un messaggero, un folletto, un guardiano. E un viaggio, naturalmente. L’eroe parte del mondo ordinario seguendo più o meno riluttante una chiamata, si avvale di un mentore, supera diverse prove, con livelli crescenti di difficoltà come in un video gioco, e fa ritorno per rimettere ordine nel suo mondo. E vissero tutti felici e sicuri.
Dietro tutto ciò, naturalmente, si intravede la grande ombra di Carl Gustav Jung, e dei suoi archetipi: il viaggio dell’eroe è quello a cui ciascuno a modo suo è chiamato.
Se l’argomento vi sembra impegnativo e cercate un riassunto a mo’ di Bignami, tanto per cambiare vi basta tornare agli antichi greci. In particolare, c’è un mito che a me pare contenga tutti, ma proprio tutti gli elementi di cui abbiamo parlato finora. È la storia di Perseo.
La sua vicenda comincia da lontano, dal nonno Acrisio, a cui l’oracolo ha predetto che suo nipote lo ucciderà. È umano cercare di opporsi al destino, e allora Acrisio che fa? Prende la figlia Danae e la chiude in una cella, o secondo altri in una torre, come Raperonzolo. Voglio proprio vedere come farà a figliare.
Non ha fatto i conti con Zeus. Vuoi che Danae fosse un bel pezzo di ragazza, vuoi che Zeus non avesse di meglio da fare, decide di entrare nella cella sotto forma di pioggia dorata (sì, proprio così…), e la mette incinta.
Immaginatevi come la prende Acrisio, quando sente il pianto del neonato. Di uccidere il nipotino proprio non se la sente, a parte tutto rischierebbe di trovarsi addosso le Erinni come Edipo, e allora fa chiudere Danae e il piccolo Perseo in una cassa e li fa abbandonare in mare. Non li ho mica uccisi io, è la sua non coraggiosissima tesi. Acrisio non è esattamente un leader.
Ma i due vengono invece salvati dalle acque, come Mosè, o come Pinocchio e Geppetto, se preferite, ad opera di un pescatore di buon cuore, col quale vivono per un bel po’ di anni, parzialmente felici e ragionevolmente contenti. Non altrettanto di buon cuore è però il fratello del pescatore, nonché re dell’isola, un certo Polidette.
Sono passati parecchi anni, Perseo è ormai grande e forte, del resto i cromosomi divini non mentono, la mamma è maturata ed è, se possibile, ancora più bella. Polidette ne è attratto, ci prova, ci riprova, ma si trova sempre Perseo tra i piedi. Bisogna liberarsene.
Polidette allora invita Perseo ad un banchetto, lo fa bere, poi gli fa presente che tutte le buone famiglie del regno gli hanno regalato un cavallo, e lui invece niente. Perseo di cavalli non ne ha, ma di orgoglio tanto, ed è alquanto ubriaco. Lo so, lo so, raccomandare la totale sobrietà ad una Safety Rockstar, che pur sempre rockstar resta, è eccessivo, ma si può comunque ricordargli che prendere impegni ufficiali in stato di ebbrezza non è cosa intelligente e sicura.
“Cavalli non ne ho, ma posso fare tutto ciò che vuoi. Qualunque cosa. Dammi un compito, e vedrai”. Quel figlio di un re non aspettava altro, naturalmente. “Va bene, allora portami la testa della Medusa”.
Ora, chi è familiare con le statue di Cellini, o i dipinti di Caravaggio, o perlomeno con le borsette di Versace, ne ha un’idea, benché edulcorata. La Medusa vera è una creatura ancora più mostruosa, con zanne affilate, orribili artigli, serpenti al posto dei capelli e uno sguardo capace di trasformare chiunque in pietra. Ad onor del vero, non era sempre stata così, un tempo era una fanciulla di assai bell’aspetto, a tal punto da essere concupita addirittura da Poseidone, con il quale effettivamente ad un certo punto, come dire?, si appartò. Il problema semmai fu il luogo scelto per la camporella, un luogo assai poco opportuno: il tempio di Atena. Ora, capite, se fosse stato il tempio di Afrodite, ancora ancora passi, ma Atena, dea vergine e guerriera, non la prese affatto bene, ed ecco la povera fanciulla trasformata in orrenda Gorgone. Chiusa parentesi.
Perseo, naturalmente, non sa neppure da che parte stiano le Gorgoni, però ormai la frittata è fatta, deve mettersi in viaggio come Frodo nel Signore degli Anelli.
E il mentore dov’è? In questo caso ce ne sono addirittura due, Atena stessa ed Hermes. I due appaiono all’eroe in un bosco e lo equipaggiano con oggetti magici (potevano forse mancare, in questo riassunto di tutte le storie?). Ermes gli presta i suoi calzari alati, che permetteranno a Perseo di volare come Superman, e l’elmo di Ade che dona l’invisibilità, anche questo un classico del mondo delle fiabe. Atena invece gli affida il suo scudo, lucido come uno specchio, una bisaccia e un falcetto in grado di tagliare qualunque materiale. Una bisaccia? Fare domande sul dono di un dio non è saggio, e per di più Atena ha già dimostrato di essere assai suscettibile. E dunque Perseo ringrazia e riparte, volando come Superman, con i suoi oggetti magici che lo aiuteranno (si spera) ad affrontare Medusa.
Nessun videogioco o film di avventure che si rispetti è mai saltato di botto allo scontro finale, inutile dirlo, si va per livelli successivi. Perseo non sa dove vivono le Gorgoni, e dovrà scoprirlo, però almeno sa chi glielo può rivelare.
Il livello intermedio prevede dunque l’incontro con le Graie, sorelle delle Gorgoni. Chi ricorda il film “Hercules” della Disney ne ha un’idea: tre vecchie decrepite che dispongono di un solo dente ed un solo occhio, e se li passano a turno. È solo che Disney confonde le Graie con le Parche, che sono tutta un’altra cosa, ma non divaghiamo. Niente violenza, niente spargimento di sangue, qui l’eroe deve dimostrare sagacia e sottigliezza, mica vorremo star qui a celebrare un energumeno capace di picchiare le vecchiette, vi pare? Perseo si avvicina dunque senza far rumore, attende che le Graie si passino l’occhio e l’arraffa al volo, poi si impadronisce anche del dente.
“Non voglio farvi del male, belle signore”, dice (un po’ di adulazione male non ha mai fatto), “voglio solo sapere dove si trovano le vostre sorelle”. Le buone maniere, unite al ricatto del dente ottengono il risultato, le Graie disperate spifferano tutto.
La destinazione non è proprio a due passi, ma i calzari alati sono meglio di un volo di linea. Certo le Gorgoni vivono in un posto davvero strano, cosa ci fanno tutte quelle statue in cima alle rocce? Poi Perseo comprende: sono gli eroi avventuratisi prima di lui a caccia della Medusa e rimasti pietrificati.
Per fortuna lui ha lo scudo di Atena, lucido come uno specchio. Adesso non vorrei farla troppo semplice, è vero che Perseo è equipaggiato come un supereroe, ma affrontare un avversario temibile soltanto guardandone il riflesso nello specchio, destra e sinistra invertite, non è semplicissimo, provare per credere. Alla fine comunque riesce, col falcetto decapita il mostro la cui testa coi serpenti, staccata dal corpo ma ancora dotata del potere di pietrificare, finisce nella bisaccia di Atena. C’era un motivo anche per questo dono, dopotutto.
Tutto bene allora, l’eroe può finalmente ritornare a casa vincitore.
Sì, va bene.
Però.
Non sentite anche voi che qualcosa manca in questa avventura?
Abbiamo visto Perseo, questa specie di riassunto di tutti gli eroi d’avventura, riuscire a decapitare Medusa ed apprestarsi a tornare a casa.
Fine della storia?
Eh, no!
In ogni storia, fiaba o film d’avventure c’è qualcosa che non può mancare.
Ma sì, la principessa!
Ogni eroe che si rispetti deve liberare una principessa prigioniera, no?
Ecco dunque Perseo che svolazza pigramente verso casa, quando una scena curiosa attira la sua attenzione: una bella ragazza completamente nuda che prende il sole distesa su una roccia. Perseo si avvicina comprensibilmente incuriosito e forse speranzoso di attaccare bottone, e scopre che la ragazza non sta affatto prendendo il sole. È incatenata alla roccia, mentre un terribile mostro marino si sta avvicinando per divorarla.
Che fareste voi se foste l’eroe di una fiaba?
Appunto.
Segue dunque il tremendo combattimento di Perseo col mostro, lui attacca dall’alto, il mostro reagisce, l’orribile ribollio delle acque, la bestia che affonda arrossando il mare col suo sangue. Infine, come da innumerevoli copioni futuri, Perseo con quattro colpi di falcetto magico libera la fanciulla dalle catene e la prende in braccio portandola in salvo come farebbe Superman con Lois Lane. Salvi dal mostro marino ma non dalle frecce di Cupido, naturalmente. Ebbene sì, tra i due giovani è già amore, sorpresi?
La ragazza rivela appunto di essere una principessa: Andromeda, figlia del re Cefeo e della regina Cassiopea.
L’eroe sposa la principessa, e vissero tutti felici e contenti?
Non così in fretta, dice ancora il manuale dello storytelling.
Il fatto è che sulla bella Andromeda aveva messo gli occhi lo zio, che al mostro marino non si sentiva di opporsi, ma a Perseo sì, e gli tende il più classico degli agguati. Perseo però ha svariati superpoteri, come sappiamo, il più potente dei quali è dentro la bisaccia di Atena. Senza perdere tempo in sterili discussioni, tira fuori la testa mozzata di Medusa, la mostra agli aggressori e li lascia di sasso tutti quanti…
Adesso sì, è giunto il tempo del ritorno a casa per l’eroe con la promessa sposa tra le braccia, ma non ancora il tempo del riposo dalle fatiche.
Si ricorderà che il re Polidette aveva mandato Perseo a farsi massacrare da Medusa al solo scopo di avere mano libera con la bella mamma Danae. Appunto. Durante la sua assenza la situazione è precipitata e Perseo è costretto a pietrificare pure il re.
Happy end finalmente, nozze reali, e vissero tutti felici e contenti, così si concluderebbe la vicenda se questa fosse una fiaba. Ma questo è un mito, non una fiaba, e c’è una bella differenza. I miti non sono mai in bianco e nero, hanno tutte le infinite sfumature dell’umano. “Non gli uomini raccontano i miti, ma i miti raccontano gli uomini”, scrisse una volta Claude Lévi Strauss. Gli eroi del mito sono tormentate rockstar, non immacolati principi azzurri.
Perseo non è proprio tipo da starsene a lungo sdraiato sul divano. È preso dal desiderio di visitare Argo, la sua terra Natale, da cui è partito ancora piccolissimo, come ricorderete, chiuso dentro una cassa con la mamma. Il re Acrisio teme l’avverarsi dell’oracolo e alla notizia dell’arrivo di Perseo se la dà a gambe. Mai stato un leader, già lo sappiamo. Acrisio si rifugia presso il re dei Pelasgi, che ha appena organizzato in memorial di atletica per onorare il padre morto. A Perseo il fisico non fa difetto, dunque appena lo viene a sapere si iscrive, e decide di partecipare, tra le altre, alla gara di lancio del disco. E lo lancia, il suo disco, lo lancia talmente forte e talmente lontano da superare i limiti del campo, e colpire uno spettatore uccidendolo, addirittura. Devo proprio dirvi che era il nonno Acrisio?
Nessuno sfugge al Fato nel mito greco, e nessuno sfugge alla colpa. Non basta dire “non l’ho fatto apposta”. Intenzionale o no che fosse il suo gesto, Perseo ha versato il sangue di un parente e dunque è maledetto come Edipo. Come Edipo dovrà abbandonare Argo, i doni magici e ricominciare tutto daccapo, fondando una nuova città, Micene, e dando origine a un nuovo popolo con cui i Greci avranno parecchio a che fare nella loro storia.
Un popolo che non a caso si chiamò Persiano.
SCORRI LA PAGINA E LASCIA UN COMMENTO.