Ci sono alcuni periodi dell’anno nei quali siamo portati a fare un buon numero di scelte ravvicinate: ad esempio in occasioni di ricorrenze e compleanni durante i quali ci ritroviamo ad acquistare qualche pensiero per i nostri cari. “Cosa scegliere?” la domanda che ci accompagna nel nostro girovagare alla ricerca di qualcosa, il più delle volte per stupire, per sorridere ma talvolta possiamo dircelo, anche un po’ per dovere.
Su, possiamo confessarlo: a parte quella piccola percentuale che ama fare i regali perché si diverte nel cercare l’oggetto giusto per la persona giusta – lo ammetto, io ne faccio parte – spesso ritrovarci a fare qualcosa “per dovere” ci porta ad affrontare l’attività con svogliatezza ed un pizzico di disappunto.
Cosa fa veramente la differenza allora?
La libertà di decidere, di scegliere e non sentirsi costretti. Abbracciare la volontà di fare qualcosa per il piacere di farlo, perché siamo consapevoli che se non volessimo, avremmo la possibilità di dire effettivamente no. Le nostre emozioni giocano un ruolo fondamentale.
Proviamo ora proiettare questa sensazione all’applicazione delle regole della nostra società, dove spesso siamo portati ad aderire a degli standard se così vogliamo chiamarli, che servono a regolarizzare appunto il nostro convivere civile.
Che sentimento ci accompagna quando, ad esempio, siamo di fronte ad un semaforo rosso e ci dobbiamo fermare? Potremmo essere travolti da diverse emozioni: rassegnazione, per lo più se siamo in orario; nervosismo, se siamo in ritardo, che ci porterebbe forse a essere più tesi alla partenza immediata appena scatta il verde; rilassatezza, se quel momento di pausa ci permette di svagare la mente o scrivere quel messaggio che era rimasto in sospeso. Quanta differenza fa la possibilità di interagire con quel limite nella misura in cui lo sappiamo accettare con consapevolezza?
Fa la differenza. È proprio quel quid che ci permette di preservare la nostra integrità in termini di pensieri, azioni e fisicità. E’ il libero arbitrio che possiamo applicare nella scelta deliberata di ignorare quella regola scegliendo consapevolmente di violarla oppure di aderire fortemente ad essa. Nonostante la nostra mente conosca benissimo le reali conseguenze, ad esempio, di passare con il rosso o di non prendere il regalo per quel parente che magari potremmo non incontrare, rispetto al farlo… Cosa fa scattare quindi la scelta verso un comportamento rispetto ad un altro?
Cosa succede se la stessa domanda ce la poniamo in ambito lavorativo? Qui due concetti intriganti e complessi si intrecciano: il libero arbitrio e il rischio elettivo. Due facce di una stessa medaglia, ma anche due territori minati, dove una scelta può trasformarsi in conseguenza e una libertà, se mal gestita, diventare pericolo.
Possiamo immaginare il libero arbitrio come quella forza invisibile che spinge l’individuo a prendere decisioni autonome. È il cuore pulsante della responsabilità personale: scegliere come agire, come muoversi, come reagire. Ma in un contesto regolato da normative, procedure e formazione, fino a che punto il libero arbitrio può essere esercitato?
Non è raro infatti che qualcuno si allontani dalla linea guida tracciata: un taglio di strada, una manovra azzardata, una distrazione consapevole. Sono scelte personali, apparentemente innocue, ma che spesso ignorano un elemento cruciale: le regole di sicurezza non sono limitazioni, ma prevengono e proteggono. Qui il libero arbitrio diventa un’arma a doppio taglio, capace di trasformare un piccolo gesto in una tragedia evitabile.
E poi c’è il rischio elettivo. È quella scelta consapevole che un lavoratore compie, sapendo – o dovendo sapere – che sta agendo fuori dai binari della sicurezza. Quando, per velocità o convenienza, si decide di salire una scala traballante invece di cercare quella integra; quando si abbassa la mascherina perché “tanto è solo un secondo”. Questi atti, apparentemente minori, sono il frutto di quello che viene definito rischio elettivo: un rischio che ci si assume in piena consapevolezza, talvolta sfidando anche le leggi fisiche oltre che quelle normative.
Ma attenzione: il rischio elettivo non è un diritto. La normativa sulla sicurezza sul lavoro, ad esempio, è molto chiara nel sottolineare che chi si espone volontariamente a un pericolo che avrebbe potuto evitare può compromettere non solo la propria sicurezza, ma anche quella degli altri. In poche parole, il rischio elettivo non è libertà, ma irresponsabilità.
Il luogo di lavoro è una danza continua tra libertà e responsabilità: nessuna norma può anticipare ogni possibile decisione umana. Allo stesso modo, nessun lavoratore dovrebbe ignorare il contesto collettivo delle sue azioni. Qui entra in gioco un equilibrio delicato: il libero arbitrio dev’essere esercitato entro confini chiari, dove la consapevolezza delle regole si intreccia con il rispetto per la propria vita e quella degli altri.
La sicurezza sul lavoro si configura non come nemico del libero arbitrio, ma come il suo alleato più grande.
Non si tratta di limitare le scelte, ma di potenziarle: scegliere di agire in sicurezza è sempre la decisione più libera, perché protegge il futuro.
Chi lavora ha un grande potere: quello di decidere. Ma con questo potere arriva una responsabilità altrettanto grande. Il libero arbitrio è uno strumento meraviglioso, ma quando diventa il pretesto per giustificare scelte pericolose, perde la sua nobiltà e si trasforma in un rischio elettivo.
Forse, allora, è tempo di vedere la sicurezza sul lavoro sotto una nuova luce: non come una rete che intrappola, ma come una mano tesa che ti guida verso casa, sano e salvo, alla fine di ogni giornata.
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