PIT AREA’S VOICES #27 – Ezio Granchelli

di Rock'n'safe
Ezio Granchelli

Ciao, sciogliamo subito il ghiaccio, come ti chiami e quale ruolo rivesti in azienda?

Ciao a tutti!

Sono Ezio Granchelli. Sono socio e membro del Consiglio di Amministrazione di una holding che si occupa del coordinamento e del controllo di una serie di società attive nell’ambito della compliance aziendale: dalla sicurezza sul lavoro al GDPR, dall’antincendio alla sostenibilità ambientale.

In particolare, tra queste ricopro il ruolo di Vicepresidente di Stone S.p.A. (operante nell’ambito della sicurezza sul lavoro) e Amministratore Delegato di Red Elephant s.r.l. (ossia la società proprietaria della piattaforma e-learning Kattedra, specializzata in formazione “certificata”).

 

Come ti sei avvicinato/a a questo lavoro e cosa ti ha fatto capire che questo è il lavoro giusto per te?

Molti di quelli che oggi rappresentano punti fermi della nostra vita, sono il frutto dell’incontro tra i propri valori, le proprie aspirazioni ed un pizzico di casualità. Penso che, per quanto attiene la risposta a questa domanda, mi sia accaduto qualcosa del genere. Stiamo parlando dei primi anni 2000. Avevo terminato gli studi da un paio di mesi e stavo facendo tirocinio presso uno studio di ingegneria. Un professionista, amico di famiglia, si occupava da poco più di un anno di sicurezza sul lavoro (vigeva ancora la 626/94) e mi chiese di dargli una mano. Ne ero incuriosito. Quindi nei primi mesi ho iniziato a dividermi tra tirocinio (di giorno), la collaborazione estemporanea nell’ambito della sicurezza (di sera/notte) e lo studio della “nuova” materia (decisamente di notte).

La 626, di fatto, era ancora una novità, specie nelle piccole aziende che ne riducevano l’applicazione pratica ad una “autocertificazione”. Tutto era da costruire. Gli addetti ai lavori veramente esperti erano pochi, così come le fonti presso cui reperire informazioni, buone prassi, banche dati, indagini epidemiologiche. Insomma, non vi erano molti punti di riferimento. Su di un fronte avevo già capito che progettazione architettonica e calcoli strutturali non mi stimolavano, più di tanto, professionalmente ed eticamente. Per contro, l’idea di poter costruire la mia professionalità, contribuire al consolidamento di un intero settore e nel contempo aiutare imprenditori e lavoratori a migliorare la qualità della loro vita è diventata in breve il mio obiettivo.

Nonostante un’ottima e ben più allettante contro-offerta economica dello studio di ingegneria, dopo alcuni mesi decisi di lasciare l’impiego per dedicarmi interamente alla sicurezza sul lavoro.

 

Nel corso della tua carriera qual è stato l’episodio che ricordi con più piacere e quale con meno?

Inizio da ciò che ricordo con meno piacere. Per essere precisi non è un ricordo, ma una realtà ricorrente. Abbiamo clienti in tutta Italia e in alcune zone siamo fortemente radicati. Questa presenza capillare ci consente di conoscere molte delle dinamiche locali. Vengo al punto: parlo di attestati falsi. Potrei anche lontanamente arrivare a comprendere (ben inteso: non a condividere, in nessun modo) la richiesta da parte di un imprenditore inconsapevole (e sottolineo “inconsapevole”) di ottenere qualche forma di “scorciatoia” per evitare di partecipare ai corsi previsti dalla legge. Siamo felici di perdere clienti che fanno questo tipo di richieste. Tuttavia, trovo molto triste che vi siano professionisti e aziende, localmente anche affermati, che si rendano disponibili a falsificazioni di tale specie. Non è solo triste, è anche inconcepibile ed intollerabile.

Concludo con qualcosa di positivo. Anche in questo caso non mi riferisco ad uno specifico episodio. Nel corso degli anni ho ricevuto tante attestazioni di stima da parte di colleghi e da coloro che sono stati e sono tuttora miei mentori. Così come da parte aziende, professionisti e formatori che hanno impiegato con profitto i contenuti da noi prodotti e diffusi gratuitamente, nell’ambito della propria attività formativa e consulenziale (come, ad esempio, la serie di video-pillole per la sicurezza sul lavoro disponibili sul canale YouTube aziendale e sul Knowledge centre di Kattedra).

La cosa che però che accolgo con maggior piacere è un’altra. Ho la fortuna di lavorare con tante persone che collaborano ai nostri progetti, che sono cresciute professionalmente e managerialmente e che hanno raggiunto i propri obiettivi di vita.

Questa è la più grande soddisfazione che si possa provare: nel nostro piccolo renderci utili per gli altri, aiutarli a vivere meglio, aiutarli a crescere. È ciò che mi motiva a fare quello che faccio.

E – per contro – la falsificazione della formazione sopra menzionata è in totale antitesi con il mio scopo.

 

Quali sono le soft skills che un/una professionista del mondo della salute e sicurezza sul lavoro deve assolutamente avere?

Nei primissimi anni della mia attività come consulente ritenevo che il valore della mia professionalità fosse direttamente proporzionale alle mie conoscenze tecniche.

Questa relazione è corretta, ma non completa. Ci ho messo un po’ ad espandere il mio punto di vista.

Infatti, ogni giorno ci confrontiamo con imprenditori e datori di lavoro sovraccarichi di impegni e scadenze. Inoltre, spesso il cliente che visitiamo si sta affacciando al mondo della sicurezza per la prima volta, oppure è passato del tempo dall’ultima volta che qualcuno gli ha parlato di questo argomento e di quanto sia importante per lo sviluppo della sua attività. Tutte queste criticità rendono il nostro approccio con il datore di lavoro una vera sfida.

Questo può tentarci ad abbandonare completamente ogni tentativo di lavorare con il cliente e sul suo grado di intenzione, appiattendoci alla mera raccolta dati finalizzata alla redazione di valutazione dei rischi o all’individuazione di non conformità. Tuttavia, rinunciare all’ascolto del datore di lavoro e a stabilire con lui un rapporto di fiducia è un fallimento tecnico. È un fallimento della sostanza stessa della consulenza.

Infatti, l’obiettivo della consulenza non è quello di compilare checklist o DVR, né di individuare quante più prescrizioni possibili. Pur essendo questo un passaggio necessario, ogni tecnico deve accertarsi che il cliente:

  1. Comprenda che a noi importa di lui e che siamo lì per aiutarlo.
  2. Espliciti chiaramente e liberamente quali sono le sue idee rispetto alla sicurezza della sua azienda e del lavoro che stiamo per svolgere
  3. Comprenda cosa deve fare
  4. Comprenda come deve farlo (non solo tecnico, ma anche a livello organizzativo)
  5. Sia convinto che quella è la cosa giusta da fare

Molto spesso, nella migliore delle ipotesi, ci si concentra soltanto sul punto 3. Tuttavia sono questi tutti i passaggi (e in questo ordine) che ci permettono di agire sulla vera causa della mancanza di sicurezza in azienda: le idee. È impossibile che un cliente si senta spinto a realizzare un adeguamento che per lui comporti un dispendio di tempo e/o risorse economiche se prima non avrà percepito in noi il sincero interesse per lui, per il suo business e per la sua azienda.

Pertanto è necessario che tutti i passaggi siano correttamente eseguiti nell’ordine stabilito senza spostarsi ai passaggi più avanzati senza aver concluso i precedenti.

Quindi, un consulente per la sicurezza deve lavorare molto su se stesso, sul suo perché, sul suo interesse sincero per i suoi interlocutori. Ciò lo aiuterà a mettersi in discussione e a migliorare la sua capacità comunicativa. Devo essere onesto: questa, per me, è la parte del lavoro più difficile.

 

Cosa ti aspetti nel futuro della salute e sicurezza sul lavoro? Pensi che le nuove generazioni siano più attente a queste tematiche?

Cosa mi aspetto…Domanda da un milione di dollari. Rispondo iper pragmaticamente e chiedendovi di non essere frainteso.

Mi aspetto che ci si renda conto che un datore di lavoro che non ha risorse economiche ed organizzative per affrontare la messa a norma della propria azienda e – nel contempo – restare sul mercato con competitività, tenderà a mettere a rischio la salute e/o la sicurezza dei suoi lavoratori.

Mi aspetto che ci si renda conto che questa è una oggettività da gestire, per quanto io e te potremmo non essere d’accordo. Perché l’alternativa per tale datore di lavoro sarebbe licenziare i dipendenti per tutelarli, e non credo che né l’imprenditore né i dipendenti stessi lo riterrebbero socialmente accettabile.

Ed allora, agire a livello di sistema attraverso strumenti premianti nel breve termine tramite benefici immediati e concreti per la micro-imprenditoria (in Italia oltre l’85% delle imprese ha meno di 5-10 lavoratori) a fronte di interventi di adeguamento a carattere pratico (e non solo di miglioramento, come avviene per l’OT23), a mio avviso, catalizzerebbe la vera applicazione della sicurezza. E sono certo che anche l’imprenditore più scettico inizierebbe a “prenderci gusto”, essendo messo in condizione di vederne – nel tempo – i più rilevanti benefici che si esplicano nel medio-lungo periodo.

 

Per concludere, quale consiglio daresti a un giovane che si avvicina a questa professione?

Come dice il proverbio: “Accompagnati con chi è migliore di te e fagli le spese”.

Un caro saluto a tutti.

 

 

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