Sciogliamo subito il ghiaccio, come ti chiami e quale ruolo rivesti in azienda?
Mi chiamo Francesco La Rosa e da alcuni anni ricopro il ruolo di pensionato presso l’INPS… Scherzi a parte, ho lavorato a lungo nel gruppo ENI, in Snamprogetti e poi in Saipem, dove ho svolto diversi ruoli operativi, principalmente Project Manager, Project Director, Senior Vice President per un’area di business.
Sostanzialmente, mi occupavo della realizzazione di grandi infrastrutture, principalmente nel campo del petrolio (raffinerie, impianti petroliferi, oleodotti, gasdotti, eccetera) e quasi sempre all’estero.
Come ti sei avvicinato/a a questo lavoro e cosa ti ha fatto capire che questo è il lavoro giusto per te?
Ho iniziato la mia carriera come ingegnere di processo, e questo mi ha messo in contatto con le prime commesse esecutive e con le persone che gestivano questi grandi progetti. Mi sono innamorato dell’idea di poter dedicare la mia vita lavorativa a realizzare qualcosa di concreto, che dopo tanto lavoro si potesse infine guardare, toccare con mano, il risultato.
Quello che mi caratterizza rispetto ad altri intervistati è forse il fatto di non avere praticamente mai rivestito ruoli aziendali nel campo specifico della sicurezza. Tuttavia, aver passato la vita tra progetti esecutivi e cantieri mi ha offerto un punto di vista privilegiato sugli argomenti della sicurezza. I cantieri sono i posti dove gli incidenti sul lavoro avvengono, e la prima cosa che ho capito frequentandoli è che gli incidenti, che visti da lontano tendono ad essere interpretati come numeri, grafici, statistiche, frequenze, visti da vicino, sono invece persone, vite devastate, non solo le loro ma anche quelle delle loro famiglie, degli amici, dei colleghi.
Toccare con mano tutto questo cambia completamente la prospettiva sulla sicurezza, te lo assicuro.
Nel corso della tua carriera qual è stato l’episodio che ricordi con più piacere e quale con meno?
È difficile estrarre uno o due episodi da svariati decenni di carriera in azienda.
Diciamo che mi ha fatto particolarmente piacere quando qualche persona, che magari non conoscevo in modo particolarmente stretto, in qualche occasione anche a distanza di molti anni, mi ha ringraziato per qualcosa che avevo detto (e che magari io stesso non ricordavo più di avere detto), che lo aveva fatto riflettere e magari aveva iniziato un cambiamento nella sua vita professionale o addirittura personale. Ecco, credo che il pensiero di aver lasciato una traccia, deposto un seme che poi è maturato nell’anima di qualcuno è una delle sensazioni più gratificanti che si possano avere.
Riguardo agli episodi negativi, sicuramente ci rientrano gli incidenti sul lavoro. Ne ricordo uno particolarmente frustrante. In un cantiere in Medioriente, ma sarebbe potuto accadere anche altrove, un operaio scende dal camion e decide di attraversare la strada passando proprio davanti al camion stesso, che riparte senza vederlo e lo investe uccidendolo. Una vita letteralmente buttata via. Ricordo ancora il senso di impotenza, di rabbia disperata che ho provato in quel momento. E tuttavia, col passare del tempo, quell’episodio mi ha portato, insieme ai miei colleghi, ad elaborare l’idea che la sicurezza sia un problema di cultura, di abitudini, di forma mentis, di “modo di fare le cose” prima ancora che questione di formazione, prescrizioni, divieti o punizioni.
È stata un’autentica rivelazione, che mi ha indotto ad impegnarmi sempre più nella sicurezza attraverso la Fondazione LHS di Saipem, che ho avuto anche l’onore di presiedere.
Hai mai dovuto affrontare un grave infortunio di un collega? Se sì raccontaci la tua personale esperienza.
Non direttamente colleghi però, come dicevo, a frequentare i grandi cantieri con migliaia di persone, purtroppo prima o poi ci si trova faccia a faccia con qualche incidente. Se mi mettessi a raccontare non finirei più, però alcune di quelle storie le ho scritte, sempre con l’idea che un racconto con i suoi risvolti emotivi possa influire sulle abitudini e sulla mentalità delle persone più di una serie di diapositive.
Queste storie si trovano su un blog intitolato “HSE Tales”, sono liberamente utilizzabili, e ci sono anche alcuni video.
Ho dovuto affrontare invece le malattie talvolta piuttosto serie di qualche collega, il che mi ha fatto riflettere su quanto le campagne di prevenzione possano influire sui destini delle persone. Ma questo è un altro discorso, o forse invece no. Salute e sicurezza sono due parole molto più affini di quanto in genere si pensi, hanno entrambe origine da un’idea di integrità quasi sacrale, un’idea che mi piacerebbe si recuperasse.
Quali sono le soft skills che un/una professionista del mondo della salute e sicurezza sul lavoro deve assolutamente avere?
Se è vero che per ottenere risultati nel campo della salute e sicurezza occorre agire sulla mentalità, sulla cultura, provare a cambiare le abitudini delle persone, è chiaro che un bravo professionista in questo campo deve soprattutto essere un buon motivatore, e di conseguenza ancora prima buon comunicatore e buon ascoltatore.
Serve empatia, saper capire quello che prova la gente, e andargli incontro. E poi serve tanto entusiasmo, sentire e far sentire che si sta facendo una cosa importante, che la sicurezza non è burocrazia, è vita.
Cosa ti aspetti nel futuro della salute e sicurezza sul lavoro? Pensi che le nuove generazioni siano più attente a queste tematiche?
Certamente sì, il mondo sta cambiando, le priorità stanno cambiando, le nuove generazioni hanno una sensibilità più alta nei confronti della vita, dell’ambiente, del futuro. Sono meno legate a modi di pensare vecchi, hanno meno abitudini consolidate da sradicare.
Sono ottimista!
Per concludere, quale consiglio daresti a un giovane che si avvicina a questa professione?
Credere fortemente in quello che fa, nel valore della sua missione, non lasciarsi abbattere dalle frustrazioni che inevitabilmente si troverà ad affrontare.
Citando Neil Young gli direi: “Don’t Let It Bring You Down”.
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