A me il calcio piace. Ci ho giocato per sette anni e l’ho sempre seguito. Non sono un animale da stadio, forse perché sono un gobbo che vive a Firenze e, ti garantisco, già questa è un’enorme dimostrazione di coraggio.
Di sicuro i mondiali di calcio sono un must a cui è difficile rinunciarci. Ricordo dall’esultanza dei mondiali dell’82, al rigore sbagliato del Divin Codino, fino all’entusiasmante estate del 2006. Nonostante questo ho ritenuto che i mondiali in Qatar fossero una bestialità e notizia dopo notizia questa mia convinzione si consolida.
Come si fa ad esultare sapendo che sono morte 6500 persone, rovinate 6500 famiglie per costruire sette stadi, un aeroporto, hotel e infrastrutture? Si dice che molte di queste siano avvenute per cause naturali, date dallo sfruttamento con orari disumani di persone immigrate e con reiterate violazioni dei diritti umani. Per farti un’idea puoi cominciare a leggere i rapporti di Amnesty International.
«Gli alimenti non sono freschi. Puzzano già quando arrivano, ma bisogna mangiarli (…) L’acqua da bere era molto sporca, per bere quella di qualità bisogna avere i soldi. Noi bevevamo acqua sporca… e ti vengono malattie ai reni, calcoli. Il denaro che ho guadagnato l’ho speso all’ospedale» racconta un lavoratore nepalese, reduce da un lungo periodo in Qatar, intervistato nel suo paese da “La Media Inglesa” nel documentario “Qatar: el mundial a sus pies”. «Trasportavo, da solo, 300 o 400 sacchi ogni giorno. Non potevamo mai riposare, le guardie non ce lo permettevano» racconta un altro manovale. Questo anche per 12 ore al giorno, esposti a temperature che arrivano sovente a 50°.
(Fonte Pagine Esteri)
A questo si aggiungono le dichiarazioni pre mondiale sull’individuazione della omosessualità come danno psichico e a dirlo non è un venditore ambulante, ma l’ambasciatore del Qatar, Kalid Salman. La Fifa, che sul tema delle morti sul lavoro ha sminuito sul problema, ha sdrammatizzato con outing e dichiarazioni, come se colare la cioccolata sulla menta la faccia sembrare tale.
Siamo solo agli inizi e arriva il divieto di indossare la fascia di capitano arcobaleno di One Love, con minacce severissime, non da parte dei qataridioti, ma da parte di quella feccia della Fifa. Provano a metterci una pezza con l’hollywoodiana scena tra Dio Morgan Freeman e Ghanim Al-Muftah. Bella, emozionante così come il messaggio “Con la tolleranza e il rispetto possiamo vivere sotto un unico tetto”. Già, alla faccia della coerenza.
Si salva il coraggio dei calciatori iraniani che non cantano l’inno per protestare contro le bestialità del proprio Paese, dovremmo averne almeno la metà per proteggerli da quello che gli potrebbe accadere quando torneranno a casa.
Lo sport è metafora positiva della vita. La Fifa ha disonorato questo principio in nome dei soldi, ma tutte le istituzioni, tutte le Aziende sono persone prima di tutto. Spero vivamente che le persone che hanno fatto questa gran portata per arricchirsi siano epurati dall’opinione pubblica perché l’essere umano si merita di più. Mi tornano in mente i plebei a cui venivano dati in pasto spettacoli e combattimenti nel Colosseo per distrarli da ciò che contava di più, la loro dignità e la loro civiltà. Dopo 2000 anni siamo poi così diversi?
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