Nell’agosto del 1987 Micheal Jackson fissa il record di prevendite per un nuovo album: 2.250.000 copie per Bad, il primo lavoro in studio dopo il successo planetario di Thriller. Il video del singolo lo gira Martin Scorsese, con Jackson nei panni di un brillante studente universitario che, nonostante le umili origini e le cattive compagnie, prova a realizzarsi.
Bad è, secondo le parole dello stesso Jackson, un canto di strada che narra di un ragazzo cresciuto in un quartiere malfamato, sintesi di uno stile di vita deplorevole e specchio di una società fatiscente, dove i ragazzi sono costretti a convivere con la delinquenza, lo spaccio, le risse, il degrado, la morte.
È una canzone riguardante le strade, quindi. Quelle certe e quelle possibili. Riguarda chi prova a percorrerne di nuove. Chi non si accontenta del destino che qualcun altro gli ha apparecchiato e prova a cambiare, ad uscire da quella trappola sociale che pare imbattibile.
Lui torna da scuola per le vacanze e gli altri ragazzi cominciano a dargli problemi. Canta I’m bad, you’re bad, who’s bad? who’s best? cercando di dirci che alla fine, qualunque decisione prendi, corri il rischio di essere bad per qualcuno.
Facile diventare outgroup. Se non sei dei nostri, sei contro.
Facile ridurre la complessità dell’ambiente che ci circonda attraverso un utilizzo (più o meno indiscriminato) di categorie. Lo facciamo tutti. Sulla base di un soggettivo principio di somiglianza proviamo a riportare gli innumerevoli casi singoli a un numero molto più limitato di categorie. I gruppi che ci coinvolgono al loro interno vengono definiti ingroup, e saranno concepiti come gruppi “speciali” (sono i nostri, no?), mentre tutto il resto è outgroup.
A proposito di strade, quella verso la formazione di stereotipi, pregiudizi e discriminazioni è quindi il prodotto del normale funzionamento della nostra mente, basato sulla categorizzazione sociale, e dei processi motivazionali di valorizzazione dei gruppi di appartenenza, legati al bisogno di raggiungere e mantenere un’identità sociale positiva.
E come lo status e la prestazione individuali possono essere determinati dal confronto sociale, quelli di un gruppo sono determinati dal confronto sociale con gli outgroup.
Pensa a quanto sia fertile il terreno delle nostre aziende per questi processi, con gruppi che tendono a sovraperformare gli altri (si pensi alla competizione spinta tra aree commerciali), ma anche con la minaccia di generare effetti negativi, come una sovrastima delle proprie capacità, la difficoltà di essere oggettivi o addirittura da atteggiamenti discriminatori verso l’outgroup (si pensi ai conflitti tra field force e sede centrale, o tra funzione commerciale e produzione).
O pensiamo ad acquisizioni e fusioni: i membri di un gruppo sono portati a valorizzare un’identità distinta in grado di differenziare il proprio gruppo dagli altri e quando questa distintività è minacciata, cioè quando ad esempio sono intaccati i confini intergruppo… boom! Eccoci alla polarizzazione che alimenta il conflitto.
Sono cattivo, lo sai urla un Micheal Jackson pieno di rabbia, cercando di dimostrare ai suoi compagni che nonostante gli studi e il sogno di una vita migliore le sue radici sono ancorate alla strada e, per dimostrare la sua vera natura, Jackson costringe gli amici a seguirlo nel parcheggio di una metropolitana, la stessa che tutti i giorni prende per andare all’università. Giacca di pelle nera, borchie, ghigno beffardo. La sua cattiveria viene mostrata attraverso l’arte, la musica e il ballo, in una coreografia elaborata che costringe Scorsese a tenere chiuso il parcheggio della metro per due settimane intere.
Pensate che io sia cambiato, ma sono ancora dei vostri e ve lo dimostro. Sono cattivo, sono violento anch’io. La risposta del re del pop è quindi aderire alla violenza altrui, ritornare nei panni antichi perché puoi togliere il ragazzo dal ghetto, ma non il ghetto dal ragazzo (cit.) Ma la violenza declamata da Jackson è solo musicale e parodistica, amplificata da quell’immortale who’s bad? che non ha mai ricevuto risposta.
In fondo, per lui il vero cattivo è colui che cerca di cambiare il mondo (il proprio, quello di tutti), che combatte per vivere in un posto migliore, che lotta ogni giorno per uscire alla luce del sole. E che magari alla fine cede, per semplice stanchezza o per una più radicata volontà di appartenenza.
Per la psicologia, il vero cattivo è quello con il fattore D (ovvero fattore Dark): una persona che tende a percepirsi come individuo a sé stante, fortemente centrata sui propri interessi, indifferente ai bisogni di una comunità che non sente propria, spregiudicata, eccessivamente strategica, talmente focalizzata su se stessa da non vedere gli altri, che ritiene sempre di meritare di più, di essere migliore degli altri. Una persona scarsamente empatica, impulsiva, con una forte tendenza a mentire se funzionale ai propri scopi di acquisizione di status sociale e accumulo di beni.
Ora stacca gli occhi dallo schermo, guardati intorno. Chi è il cattivo?
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