Ha vinto la cultura della sicurezza, o quasi.
Il concerto dei Pearl Jam a Imola era atteso da ben 2 anni e finalmente quel giorno è arrivato. Sotto un sole cocente, che ci ricorda che l’ambiente ha bisogno di serie attenzioni, la grande tribù del rock si è radunata sull’asfalto dell’autodromo Dino Enzo Ferrari di Imola.
I Pixies hanno fatto da spalla e dimostrato che l’anagrafica nel rock è un dato non rilevante, ma al calar del sole arrivano loro.
Ho immaginato Eddie Vedder, Matt Cameron, Stone Gossard, Jeff Ament e Micke McCready quando da adolescenti o poco più vivevano nella Seattle di fine anni ’80 e di quanta strada hanno fatto. Insieme ai Nirvana, Alice in Chains e Soundgarden hanno dato sfogo a quel movimento grunge che già ribolliva nei locali dello Stato di Washington con i Melvins, Green River, Mother Love Bone, Mudhoney e tanti altri.
In un solo anno hanno spazzato via dal trono del rock personaggi come i Motley Crue, Guns’n’Roses, Poison e tutto quell’hard rock, glam rock e hair metal che non rappresentava più il malessere giovanile di quegli anni.
Il mio pensiero è andato su ideali condivisi e più di una domanda mi si pone su cosa ci leghi oggigiorno.
Il concerto è stato il più bello di quelli che ho visto di loro. Niente più surf diving, capelli lunghi fino alle natiche e magliette sudicie, ma un rock genuino, intenso con testi che hanno qualcosa da dire. Ci hanno allettato con una scaletta di primo ordine, con il nuovo che ha lasciato spazio agli anni ’90.
Basti pensare che hanno suonato circa la metà del primo glorioso album Ten. I Pearl Jam mirano alla sostanza. Palco sì sontuoso, ma senza particolari effetti speciali perché con loro la musica suonata è la vera protagonista.
A conferma del grande lato umano di Eddie Vedder e di quella sua solida leadership, anche sabato si è confermato molto attento a quel che succede sotto il palco.
È stato così che ha interrotto un brano perché ha visto un padre con figlia in difficoltà, dandogli il trono di lato al palco per assistere alla parte restante del concerto. Si è ripetuto con il ragazzo della cassetta gialla (chi frequenta i live sa bene di cosa parlo) in difficoltà e ancora dopo con un’altra persona.
Non importa quanta carica c’era in quel momento. La vita e la sicurezza vengono prima di tutto. Con lui questa è la normalità, forse memore dei giorni successivi in cui ha dovuto metabolizzare il lutto dei morti del concerto di Roskilde, fatto sta che è un grande esempio per tutti noi.
Non è certo mancato un commento sulla decisione politica americana sull’aborto. Non possiamo condannare le donne in questo modo, se una cosa è certa è che in una gravidanza è l’uomo ad essere responsabile al 100%. Standing ovation.
In conclusione del concerto, cosa che ci piacerebbe tanto se fosse fatta da tanti manager in azienda, ha ringraziato esplicitamente la “gente della sicurezza”. Non un ringraziamento in mezzo a un fiume di ringraziamenti, ma uno spazio dedicato con tanto di applauso.
Questo è ciò che vorremmo vedere in ogni contesto, che sia in un concerto o in un’Azienda. Il ruolo di chi si sbatte per la sicurezza non è di outsider, ma è quel ruolo che ci permette sia di goderci con serenità un live piuttosto che garantire la business continuity in Azienda.
Nota di demerito all’organizzazione dell’autodromo che ancora una volta è incapace di garantire un deflusso agevole. Pensa che ci è voluta un’ora soltanto per uscire dall’area concerto.
Cosa accadrebbe in caso di emergenza? Speriamo che gli amici di Live Nation e l’Organizzazione prima o poi ponga rimedio invece che piangere sul latte versato.
Visita l’intera rubrica The safety rockstar!
SCORRI LA PAGINA E LASCIA UN COMMENTO.