Salvate il soldato imprenditore

di Stefano Pancari
Salvate il soldato imprenditore

Questa settimana mi farò qualche nemico in più.

Assisto e partecipo spesso al confronto tra il mondo manageriale e coloro che sono paladini della new way of work. Molto interessanti sono da questo punto di vista i dibattiti su BE SAFE, l’appuntamento settimanale su Clubhouse, piuttosto che tanti post su linkedin.

Di cosa stiamo parlando?

La pandemia ha fatto da catalizzatore e acceleratore ad un cambiamento radicale dell’approccio sul lavoro e niente sarà più come prima.

Prima cazzata dal mio punto di vista. È vero che sempre di più il posto di lavoro ambito è una poltrona dietro ad una scrivania, ma ci dimentichiamo dei milioni di lavoratori che stanno in reparto, in magazzino, alla guida di camion sulle autostrade, a movimentare merci nel porto, nei cantieri e chi più ne ha più ne metta. Per loro flessibilità, remote working, smart working, sono temi che non li riguardano e penso a loro quando qualcuno parla di “ingiustizia” sul fatto che il sistema di lavoro è ibrido o addirittura non preveda lo smart working, come recentemente ha fatto quel vampiro satanista di Elon Musk.

Fatta questa premessa concentriamoci su quella nicchia di eletti che invece può permettersi questo lusso. Fin quando non ci sarà una riforma strutturale dei contratti di lavoro stiamo parlando proprio di un lusso, di un benefit, di una forzatura del rapporto contrattuale. Sappiamo bene che la merce di scambio in un contratto di lavoro, fino ad oggi e chissà fino a quando, è il tempo con incluso nel pacchetto l’opera intellettuale richiesta per il ruolo.

Esatto, il tempo.

Firmiamo contratti full time o part time e il contratto prevede la retribuzione in relazione al tempo che una persona impegna sul lavoro. Concordo sul fatto che sia una fesseria perché in quelle 8 ore potresti anche diventare campione di Sudoku, ma fatto sta che le cose stanno in questi termini.

Con questo presupposto parlare di flessibilità, diritto alla disconnessione, cultura di risultati, togliendo quindi il trono al tempo capisci che è un’anomalia rilevante a cui dobbiamo mettere una pezza con accordi e accordini di vario genere.

Il problema non finisce qui perché, se il rapporto si fonda sui risultati e non sul tempo, innanzitutto devi avere un ruolo la cui attività è misurabile, diversamente stiamo parlando di fiducia cieca e alla cieca le Aziende dovranno chiudere il bilancio in positivo. Su questa tema scendono in campo gli antagonisti del controllo che di per sé è qualcosa di neutro, diventa tossico o è positivo in relazione all’uso che ne facciamo. A mio avviso la fiducia senza un sano controllo è utopistica quanto l’anarchia, ovvero sarebbe bello ma…

A questo si aggiunga che, se i risultati sono il nuovo oracolo da venerare, allora sui risultati dovrebbe fondarsi anche l’eventuale interruzione del rapporto di lavoro. Invece no. Via il tempo, in alto i risultati, ma se li cappelli uno dietro l’altro, pazienza. Non sarà certo l’elemento che è giusta causa per un licenziamento.

Caro imprenditore, zitto e stai nell’angolo con la tua clava da Neanderthal!

Comprendo bene la nuova generazione di lavoratori e li ascolto con interesse perché probabilmente daranno gli spunti per una nuova visione del mondo del lavoro. Al tempo stesso i giovani dovrebbero rendersi conto che a guidare le Aziende non ci sono solo T-Rex che ancora sono rimasti all’ MS-DOS.

Alla guida di Aziende ci sono persone in gamba così come incapaci, come del resto ci sono lavoratori responsabili ed altri che sono al pascolo come le mucche viola della Milka. Vedere certi giovani che non cercano compromessi, ma vogliono spiegare a chi ha più esperienza come si gestisce l’azienda è una scena circense. Come in alcuni film sarebbe interessante lasciare a questi soggetti la poltrona di comando e vedere dove va a finire l’Azienda, e tutti i suoi collaboratori, dopo già un semestre.

Ritengo che la vita ancora non gli abbia spiegato che i cambiamenti sono dei processi non proprio così semplici come scrollare i video di Tik Tok. Forse lo hanno letto in qualche libro del guru di turno, ma la vita e l’esperienza sono un’altra partita.

Penso che il presente e il futuro si costruiscano con un mix di esperienza e innovazione in cui l’esperto ascolta attivamente le esigenze del giovane, quanto il giovane riconosce di non sapere per intero come funziona un’Azienda e come si fa per tenerla in piedi, per questo si affida a chi è esperto.

Fate l’amore e non la guerra.

 

 

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